L'invenzione della madre
La trama
Questa è una storia d’amore. Si tratta dell’amore più antico e più forte, forse il più puro che esista in natura: quello che unisce una madre e un figlio. Lei è malata, ha poco tempo, e lui, Mattia – sapendo che non potrà salvarla, eppure ostinandosi contro tutto e tutti – dà il via a un’avventura privatissima e universale: non sprecare nemmeno un istante. Ma in una situazione simile non è facile superare gli ostacoli della quotidianità. La provincia in cui Mattia abita, il lavoro in videoteca che manda avanti senza troppa convinzione, il rapporto con la fidanzata e con il padre: ogni aspetto della sua vita per nulla eccezionale è ridisegnato dal tempo immobile della malattia. Un rifugio sicuro sembrano essere i ricordi: provare a riavvolgere come in un film la memoria di ciò che è stato diventa un esercizio che gli permette di sopportare il presente. Ma è davvero possibile sfuggire a se stessi? In questo viaggio dove tutto è scandalosamente fuori posto, è sempre il rapporto con la madre a far immergere Mattia nella dimensione più segreta e preziosa in cui sente di essere mai stato. Raccontando di questo everyman, grazie al coraggio della grande letteratura, Marco Peano ridà senso all’aspetto più inaccettabile dell’esperienza umana: imparare a dire addio a ciò che amiamo.
– Amore –
L’invenzione della madre di Marco Peano (Minimum fax) è un libro sull’amore e sul dolore. Un racconto sulla perdita, sulla sofferenza e sulla vita.
L’invenzione della madre ha atteso un po’ di tempo nella mia libreria perché questa storia racconta di me. Anche io, come il protagonista, ho perso la mamma a 26 anni. L’ho persa per colpa di un maledetto cancro, anche io sono rimasta “sola” con mio padre. Avevo paura che leggere queste pagine prima del tempo avrebbe buttato benzina sul fuoco.
In realtà mi sbagliavo, avrei potuto prendere in mano L’invenzione della madre quasi subito perché in queste pagine ho trovato qualcosa di fondamentale. Ho smesso di sentirmi sola.
Peano registra senza filtri la storia di una famiglia che si riadatta in funzione della malattia di uno dei componenti, la madre appunto. Non consola chi ha subito la stessa perdita, non si vede la luce che entra e guarisce le ferite, L’invenzione della madre non pretende di consolare o ferire nessuno. Ed è stato questo a conquistarmi. La non ricerca a tutti i costi di un lieto fine.
L’inutilità del dolore, la rabbia, la sofferenza hanno colpito questa famiglia punto e basta. Come è successo a me e a tanti di voi che stanno leggendo.
Lei gridava, e Mattia si domandava se tutta quella sofferenza fosse necessaria, si domandava se quella belva calva schiumante di rabbia fosse davvero la persona che lui aveva tanto amato e dalla quale era stato amato, se lì dentro ci fosse lei o la malattia: proprio come nel film di fantascienza che da ragazzino non si stancava di rivedere (una delle scene più paurose dell’Invasione degli ultracorpi di Don Siegel è quando il bambino si ostina nel dire che quella non è sua madre). Si domandava, Mattia, se il cancro l’avesse sostituita.
C’è un prima e un dopo. Lo sanno tutti quelli che hanno conosciuto il cancro. C’è una vita prima che scorre normale e corrisponde senza saperlo alla felicità e un dopo fatto di smorfie, cateteri da cambiare, cuscini da sistemare. E un dopo ulteriore: quello che lascia la morte. L’uragano è passato e chi resta si divide tra il sollievo inaspettato (la cosa peggiore che potesse succedere è successa) e l’immenso dolore.
Mattia è il nostro protagonista. Condividiamo tante cose, dalla più piccola: la stessa posa prima di dormire, a quelle più grandi come il senso di colpa nei rari momenti in cui la serenità si insinua in noi.
Come è possibile sentirsi addirittura felici dopo una perdita così? Me lo sono chiesta spesso, a volte consapevolmente, molte altre no. Mi sono punita per questo. Ma l’ho capito solamente molto tempo dopo.
Mattia ha anche altro di me: l’ossessione del non dimenticare nulla. A volte mi capita di chiedermi se lei, si ricorda ancora di me. Io dalla mia, sono terrorizzata, ho paura di dimenticare. Non può e non deve succedere.
Mattia tra presente e passato racconta la storia della mamma che è inevitabilmente la sua. Le prime cure e poi la recidiva inaspettata e violenta come solo alcune malattie sanno fare.
Nulla viene nascosto. è come trovarsi di fronte a una cinepresa che immortala tutto: i discorsi delle amiche della madre, la scelta della parrucca. Le ore trascorse davanti a un Pc cercando notizie sul cancro, sulle cure… e quel senso di impotenza che ci attanaglia quando qualcuno che amiamo soffre.
Peano non ci risparmia nemmeno i particolari del lavoro degli addetti alle pompe funebri. Trucchi ed espedienti per regalare al defunto serenità e compostezza su quella pelle che fino a qualche ora prima bruciava per il dolore provato.
Strazianti questi capitoli in cui Mattia decide cosa lasciarle nella bara ripetendo la tradizione più antica del mondo.
Mi hanno fatto soffrire anche le pagine in cui si respira incomunicabilità: Mattia con la ragazza senza nome non riesce a parlare, a dar voce a un dolore troppo grande da sopportare ma che al tempo stesso non riesce a far uscire. Non sappiamo quasi nulla di lei, come potremmo? L’intero racconto è focalizzato sulla madre e su Mattia che registra, pulisce, lenisce, abbraccia, bacia, perché ogni volta potrebbe essere l’ultima.
E ancora l’egoismo di un figlio che non riesco a condannare perché vorrebbe la mamma accanto per sempre, anche se significasse prolungare il dolore di chi gli ha dato la vita.
Su L’invenzione della madre ho letto molte cose, molti commenti lusinghieri. Non sono obiettiva e preferisco dirvelo perché in questo scritto ho mescolato la mia esperienza con quella di Mattia e non mi è più chiaro di chi sto parlando, se di un personaggio o di me.
L’invenzione della madre mi ha fatto compagnia e male, Mattia ha dato voce a un dolore che tuttora non riesce ad uscire e per questo posso solo dire grazie a Peano.
L’invenzione della madre è…
Amore. Nonostante il tono distaccato si percepisce un amore sconfinato. Tutto viene amplificato: ogni gesto, ogni sguardo, si carica di un significato specifico perché potrebbe essere l’ultimo.
(Perché quando la dottoressa piccolina ha detto loro dieci-dodici mesi, due universi si sono scissi: in uno la madre di Mattia è riuscita a invecchiare. Nell’altro, il posto in cui sono intrappolati, il figlio si è dato un compito: correre più veloce del cancro. Correre, vivere con la madre tutte le esperienze che la morte arriverà a negare. Correre, per non perdere neanche un minuto di vita della madre. Ma il cancro ha molto più fiato di lui.)
Molte volte torno indietro e mi rimprovero per non essere riuscita a correre più veloce della malattia, era una lotta impari, non avrei mai potuto vincere e ho perso come Peano.
Consigliato per chi è in cerca di una storia vera, per chi non ha paura di riconoscersi in parole a tratti dure e distaccate, per chi è pronto a fare i conti con sensi di colpa, rabbia e verità. Qui si scopre tanto di Mattia, ma soprattutto di noi stessi, fino ad arrivare ad inventare un’altra verità.
2 COMMENTI
Cristina
6 mesi faLo leggerò
Donag
4 anni faMi incuriosisce, ma ho molta paura di farmi male!