Neve, cane, piede
La trama
Il romanzo è ambientato in un vallone isolato delle Alpi. Vi si aggira un vecchio scontroso e smemorato, Adelmo Farandola, che la solitudine ha reso allucinato: accanto a lui, un cane petulante e chiacchierone che gli fa da spalla comica, qualche altro animale, un giovane guardiacaccia che si preoccupa per lui, poco altro. La vita di Adelmo scorrerebbe scandita dai cambiamenti stagionali, tra estati passate a isolarsi nel bivacco sperduto e inverni di buio e deliri nella baita ricoperta da metri di neve, se un giorno di primavera, nel corso del disgelo, Adelmo non vedesse spuntare un piede umano dal fronte di una delle tante valanghe che si abbattono sulla vallata. "Neve, cane, piede" si ispira a certi romanzi di montagna della letteratura svizzera, in particolare a quelli di Charles-Ferdinand Ramuz, o alle opere ancora più aspre di certi autori di lingua romancia, come Arno Camenisch. Leo Tuor o Oscar Peer: vi si racconta una vita in montagna fatta di durezza, di fatica, di ferocia anche, senza accomodamenti bucolici. Nell'ambiente immenso, ostile e terribile della mon-tagna, il racconto dell'isolamento dell'uomo, del ripetersi dei suoi gesti e dell'ostinazione dei suoi pensieri e reso dalla descrizione minuziosamente realistica che a volte si carica anche di toni grotteschi e caricaturali, soprattutto nei dialoghi tra uomo e animali, questi ultimi dotati di loquacità assai sviluppata.
– Suono –
Neve, cane, piede di Claudio Morandini (Exorma) è una lettura che ho rimandato per tanto tempo, chissà poi perché. Sapevo che il libro era stato eletto nella cinquina di Modus Legendi quando ancora non avevo idea di come funzionasse il gruppo Facebook Billy – il vizio di leggere, e così l’avevo segnato nella lista interminabile dei libri da leggere. Exorma mi ha regalato la copia e finalmente dopo un bel po’ di settimane, riesco a parlarvene.
In passato Adelmo Farandola si recava al paese più spesso, per ascoltare la banda nei giorni di festa solenne. Si nascondeva dietro i muri delle case, e lasciava che il suono della banda gli giungesse confuso. Ma aveva smesso presto di farlo, perché qualcuno lo aveva visto, gli era andato incontro con la mano tesa a stringere la sua, aveva cercato di scambiare due chiacchiere. Ora gli capita di scendere fino a metà della fascia di faggi, e di ascoltare le bande da lassù, ben protetto dalle foglie dei tronchi. La musica sale indistinta, un pasticcio di colpi di grancassa, tube e stridori di clarini, oscillante nel vento, ma a lui basta questo, e a volte gli capita anche di riconoscere una melodia o l’altra, e gli viene addirittura voglia di canticchiarla, e allora lo fa, ma pianissimo, perché non vorrebbe essere scoperto da qualcuno che passa da quelle parti, pronto ad andargli incontro e a stringergli la mano e a non lasciargliela e a chiedergli cose che lui non sa, non si ricorda o non vuole sapere o non vuole dire.
Sono bastate poche, pochissime parole per sentirmi immersa nella storia. Sarà che l’ambientazione di paese mi è così familiare, sarà che in tutti i villaggi c’è sempre un personaggio strano, che non si piega alle convenzioni e che mi sembra di conoscere, sarà che il mio sogno proibito è (a tratti) quello di trascorrere mesi in completa solitudine in montagna, sarà questo e la scrittura frizzante e vivace di Morandini, ma fatto sta che mi sono innamorata subito di Adelmo.
Adelmo vive un isolamento volontario. Mi ha fatto molta tenerezza quest’uomo abituato a stare da solo e quasi sempre in silenzio. Quando deve conversare con la proprietaria del negozio è in palese difficoltà: lei è così “allenata alla chiacchiera” mentre lui fatica anche solo ad elencare ciò di cui ha bisogno.
Ma questa non è l’unica stranezza di Adelmo che non si lava, non si ricorda le cose… eppure riesce ancora a meravigliarsi per il mondo che ha intorno. La bellezza è sotto gli occhi di tutti, ma non tutti riescono a scorgerla.
All’improvviso nella vita di questo gigante buono – nulla in Neve, cane piede fa pensare che il protagonista sia grande e grosso, anzi, è un uomo magro, consumato dalla fame e dalle privazioni, ma io non riesco a smettere di pensare ad Adelmo come un omone dall’aspetto burbero – qualcosa cambia.
Tu – dice al cane, – tu sapresti prendere a morsi gli scocciatori? In tal caso mi saresti utile. Se no potrei tenerti lo stesso. No, non per compagnia. Non ho bisogno di compagnia. Ma nel caso che le provviste finiscano prima del previsto.
Il cane non si perde una parola.
– Ci sono paesi in cui mangiano i cani tutti i giorni. Non c’è niente di male, credo. Siete bestie come tutte le altre. Carne. Basta non sbagliare la cottura.
Il fuoco crepita, ora
– Non c’è niente di male – ripete Adelmo Farandola dopo un breve guaito del cane.
La vecchia miniera principale penetrava nella roccia decorata fino all’esterno di grandi conchiglie e vermi a scaglie, e si faceva esofago e intestino, e lo ingoiava e lo deglutiva. Era bello lì dentro, fin troppo. Scelse perciò una galleria secondaria, poco più di un cunicolo, che in passato era servita forse per drenare le acque o immettere aria fresca. La scelse apposta perché era la più angusta. E proprio là dove la galleria diventava un budello così stretto da non consentire più il passaggio nemmeno sdraiati aveva scelto di rintanarsi. Gli sembrava che la temperatura rimanesse costante, in quelle viscere di pietra, e si consolava pensando che a nessuno, nemmeno al più cocciuto persecutore in cappotto, sarebbe venuto in mente di cercare qualcuno lì in fondo, dove la roccia trasuda putridume. Non lo avrebbero mai cercato lì, nel buio più fitto. Se anche si fossero avventurati nel vallone, non avrebbero scorto la miniera, la cui apertura era coperta da un groviglio di cespugli di ginepro e rododendri sfioriti. E se anche avessero notato la miniera, si sarebbero limitati a esplorare solo la galleria principale, e delle secondarie avrebbero illuminato con le torce soltanto l’ingresso, al massimo i primi metri, e non avrebbero visto nulla e nessuno, e avrebbero desistito.
Neve, cane, piede è…
Suono. Il ronzare nella testa di Adelmo condiziona tutta la vita, fino a portarlo a un finale commovente e forse un po’ ingiusto. Suono anche durante le grandi nevicate. Chi l’ha detto che la neve non fa rumore?
Neve, cane piede è follia, perdono, solitudine… sono rimasta davvero sorpresa da queste pagine perché sono poche, eppure Morandini riesce a dire così tanto.
Ho apprezzato molto le pagine alla fine del romanzo che raccontano la genesi della storia. Non sono un’amante della scrittura così asciutta, senza fronzoli, preferisco sempre qualche dettaglio in più, eppure ho apprezzato tutto.
Consigliato per chi è in cerca di una storia malinconica, profonda e avvincente. Adelmo non si dimentica.
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