Giorni maledetti
La trama
Inizialmente pubblicato su un periodico parigino e solo nel 1936 uscito in volume, Giorni maledetti è la terribile cronaca - ambientata sullo sfondo di due citta, Mosca e Odessa - della guerra civile che insanguinò la Russia tra il 1918 e il 1919. Protesta appassionata contro la rivoluzione bolscevica e insieme difesa nostalgica delle fondamenta patriarcali della Russia, il libro è uno dei rari resoconti del periodo che avrebbe cambiato per sempre il destino della Russia. Bunin riferisce di conversazioni catturate per strada, cita estratti di giornali e discorsi di personaggi illustri, evoca le grandi figure letterarie e politiche dell'epoca senza nascondere avversioni e antipatie. Tradotto per la prima volta in italiano, "Giorni maledetti" è anche l'unica opera in cui l'autore abbandona il suo abituale e altero riserbo per dare voce alla disperazione personale di fronte alla "catastrofe" rivoluzionaria.
– Reportage –
Giorni maledetti di Ivan Bunin (Voland) è un libro che ho aspettato con grande impazienza e quando è arrivato ho avuto timore di cominciarlo.
Non ho mai letto nulla di Bunin nonostante sia Russo, nonostante sia un premio Nobel. Forse partita da Giorni maledetti non è stata una scelta felicissima perché il testo è impegnativo, va contestualizzato storicamente e nell’opera dello stesso scrittore, eppure questo non mi ha impedito di amarlo. Anche perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, i testi editi da Voland hanno prefazioni o postfazioni, che fanno luce sull’opera appena letta. In questo caso la nota di Marta Zuchelli che ha anche tradotto Giorni maledetti, è fondamentale per capire lo stile di Bunin, contestualizzarlo e apprezzarlo.
Giorni maledetti è un diario dal grande valore letterario sulla rivoluzione bolscevica da un punto di vista totalmente inedito. Bunin precisamente descrive la sanguinaria guerra tra bianchi e rossi.
Il libro è diviso in due sezioni: la prima è ambientata a Mosca, la seconda ad Odessa. L’orrore è indescrivibile fin dall’inizio: i soldati camminano nel sangue fino alle ginocchia. Le strade sono invase da vomito ed escrementi, addirittura un colonnello è stato arrostito vivo nella caldaia di una locomotiva.
Bunin riporta le conversazioni delle persone, le battute, le scene rivoltanti, la solitudine di un artista che sarà costretto a lasciare la Patria perché no, lo spazio per l’individualità non è consentito. E lo fa(a volte) con una malinconia straziante.
Questa notte è piovuto. Oggi è una giornata grigia, fresca. L’alberello del nostro cortile che aveva cominciato a inverdire è impallidito. Questa primavera sembra maledetta! E quel che più conta – non la si sente affatto. Ma che senso può avere adesso la primavera?
Solo un’incessante ridda di voci. La vita trascorre in un’attesa continua (si è consumato così lo scorso inverno qui, a Odessa, e quello di due anni fa a Mosca, quando tutti aspettavano ansiosi i tedeschi e, con loro, la salvezza). E non vi è dubbio che pagheremo salato questo costante e disperato attendere qualcosa di imminente e risolutivo, le nostre anime ne saranno mutilate, anche se noi ce la caveremo. Ma che ne sarebbe di noi se non avessimo nemmeno l’attesa, se non avessimo almeno la speranza? “O mio Dio, in quale epoca mi hai comandato di nascere!”.
Bunin mescola queste scene terrificanti a versi composti nel passato dando vita a un racconto dinamico e insolito. Pungente e poetico allo stesso tempo.
E intanto gli uomini assumono facce criminali mentre le donne appassiscono mentre in sottofondo si ode l’inno Masigliese: “l’inno di quei francesi che abbiamo appena tradito nel modo più vile!”. Bunin, insieme ad altri intellettuali dell’epoca, continua ad osservare con preoccupazione il decadimento della Russia:
Gruzinskij ha detto:
– Ormai mi sforzo di uscire solo per necessità. E certo non per il timore di essere aggredito, ma perché ho paura delle facce che di questi tempi si vedono in giro.
Lo capisco perfettamente, anche io provo lo stesso sentimento, solo credo, in modo ancora più acuto.
Immagino quest’uomo a capo chino che legge i giornali diviso tra la necessità di conoscere le ultime notizie e il desiderio di non sapere.
Bunin parla anche del poeta Vološin che sta offrendo i propri servizi ai bolscevichi nonostante le sue raccomandazioni di tenersi alla larga:
“L’arte è al di sopra del momento e della politica, e io prenderò parte alle decorazioni solo in qualità di poeta e di pittore”. E cosa addobberete? Le forche, chissà, può darsi persino quella che già vi attende? Ma lui è andato ugualmente.
E intanto la città rimane al buio dopo il tramonto perché il decreto impone di non usare l’elletricità, per Bunin il responsabile di questa presa in giro è il popolo: “dal momento che tutto ciò viene fatto con il solo obiettivo di compiacerlo”.
Bunin scrive alla luce fioca di una candela, solo il buio è il suo compagno.
Per tutti noi è giunta da un pezzo l’ora di impiccarsi – a tal punto umiliati, perseguitati, privati di ogni diritto e senza più leggi, viviamo in uno stato di degradante schiavitù, tra continue mortificazioni e prese in giro!
Giorni maledetti è…
Un reportage amaro. Bunin alterna versi poetici, articoli di giornale, scene dell’epoca fotografata con una lucidità disarmante e ci mette di fronte a una realtà praticamente sconosciuta.
Bunin fa parte della nobiltà decaduta, è un artista che sarà costretto a lasciare la Russia ma è soprattutto il testimone di un periodo di ferocia e delirio. La Russia di prima non esiste più, resta solo la spaventosa consapevolezza che la storia è condannata a ripetersi.
Nei giorni in cui venivano proclamati fraternità, uguaglianza e libertà lo spirito demoniaco del rancore di Caino, della ferocia e del più belluino arbitrio spirò sulla Russia. Ciò che in buona sostanza caratterizza le rivoluzioni è una rabbiosa smania di messinscena, di spettacolo, di artificiosità, di farsa. Si ridesta la scimmia annidata in ogni essere umano.
So bene che gli esperti storceranno il naso di fronte a questa recensione che tale non è, non avrei le competenze per farla. Ma io come al solito ho provato a raccontarvi un libro adatto sia agli appassionati di Bunin, sia agli appassionati di Russia che ancora non conoscevano né questo autore, né questo periodo storico narrato da questo punto di vista.
Turro è possibile. In quest’epoca tutto è possibile.
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