Paese perduto
La trama
Due fratelli, che abitano in città, possiedono in un cascinale isolato una casa di famiglia. Uno dei due ha appena ereditato da un cugino che viveva come un selvaggio nella propria fattoria. Al loro arrivo, vengono a sapere della morte di una ragazza del paese. Gli ossequi hanno luogo l’indomani. Come nelle antiche tragedie, l’azione si svolge nell’arco di due giornate invernali, nel cuore di montagne deserte. Gli dei che la reggono sono al tempo stesso grotteschi e terrificanti. Si chiamano Alcol, Inverno, Solitudine. Questi non impediscono, però, che i loro sudditi diano prova di vera grandezza. Ciò che viene seppellito, in questo romanzo di impronta autobiografica, sono gli ultimi contadini. E anche la bellezza, di cui non si riesce mai a elaborare il lutto. Tra la vita e la morte, il vissuto e la mancanza, il ricordo e l’oblio.
– Ancora –
Paese perduto di Pierre Jourde (Prehistorica editore) è uno dei libri più belli che abbia mai letto negli ultimi anni. Inutile girarci intorno, non voglio tenervi con il fiato sospeso perché questo è un capolavoro ed era da tanto tempo che non incontravo un libro così.
Paese perduto è l’ultimo libro che ho letto di Prehistorica, volutamente lasciato indietro per diversi motivi. Mi spaventava perché pensavo che avrei trovato dei temi a me cari, dolorosi e commoventi. Quello che non sapevo però è che il libro non avrebbe ottenuto cinque stelle per le emozioni che mi suscitava, ma per il suo indiscutibile valore letterario e filosofico.
La particolarità di Jourde, e mi sembra assurdo pensare che fino a un paio di anni fa non avevo nemmeno mai sentito il nome di questo gigante, è il perenne contrasto. Penso al Tibet in tre semplici passi, ci sono passaggi carichi di sentimento, malinconia, riflessioni, che si alternano (finale compreso) a momenti ilari, a tratti grotteschi. Lo stesso contrasto appare in Paese perduto: da una parte il paese inospitale, quasi irraggiungibile e la sua quasi inevitabile mitizzazione, dall’altra il degrado, la disperazione la grettezza di chi abita la solitudine.
Paese perduto non ha una vera e propria trama, la trama è lo stile lo stesso e le riflessioni che ne scaturiscono. Il vero protagonista della storia è l’animo umano messo a dura prova dalla solitudine, dalla morte, dalle difficoltà della vita. Ma è anche ricordo, attaccamento, spirito di sacrificio, resistenza.
«È un paese perduto», dicono, non v’è espressione più giusta. Non ci si arriva che smarrendosi. Nulla da fare qui, nulla da vedere. Perduto forse fin dall’inizio, talmente perduto prima di essere stato che questa perdita non è altro che la forma della sua esistenza. E io, stupidamente, fin dal principio, cerco di conservarlo. Vorrei che fosse se stesso, immobile nella sua perfezione, e che ogni istante ce ne si possa riempire. È mai stato mio questo paese perduto? Lo perdo, non smetto di perderlo.
E io vi avviso, potrei andare avanti per ore con le citazioni perché sono più le frasi che non ho sottolineato rispetto a quelle che ho deciso di segnalare, scolpire nella memoria.
Quello di Jourde e del fratello è un viaggio di ritorno alle origini, ma è anche un regolamento di conti. Tornare vuol dire affrontare, comprendere e a volte lasciar andare.
Pierre e il fratello tornano al Paese perduto e natale del padre, per una questione di eredità. E fin qui nulla di originale direte, ma io vi ho avvisati che qui la trama non ha importanza, è solo un pretesto per muoversi in un ambiente più profondo, quello dell’animo umano. Il cugino ha lasciato al fratello di Pierre una fattoria. Le condizioni della struttura, tra orrore e pietà, si scopriranno soltanto alla fine.
L’arrivo della coppia di fratelli deve prima abbandonarsi a una serie di rituali che chi proviene da un paese conosce molto bene: bisogna fare il giro delle case tra brindisi (parecchi) e chiacchiere più o meno profonde.
La tranquillità e la malinconia appena accennata vengono lacerate da una notizia brutale: la giovane Lucie è morta di leucemia.
Così, fin dall’inizio, per lunghe giornate, con migliaia di chilometri percorsi, conquistiamo il paese solo per vedere a quale punto lo perdiamo, e per tentare di trattenerlo ancora un po’, di conservare in questo mondo qualcosa che non sappiamo neanche cosa sia. Come tutti, mi lascio andare a credere che questo paese è stato veramente sè stesso nel passato. Devo confessarmi che si tratta di un’illusione. Proprio mentre, tra passeggiate e escursioni, tra racconti e incontri, provavo a trovarlo, a farne la mappa, anche se lo ignoravo, avevo già cominciato a perderlo.Eppure, quando ci penso ora, anche se mi rimprovero di tenere a un luogo, finisco per capire che forse si raccoglie, là, ancora questa strana qualità: l’impressione stessa della perdita, in tutta la sua dolorosa intensità.
Paese perduto prende così una piega ancora diversa. All’improvviso non è più la perdita del padre, i suoi legami con quella terra a diventare il motore della storia. La morte ingiusta, brutale e impietosa diventa la lente con la quale Jourde fotografa una realtà solo all’apparenza distante dalla nostra.
Perché occorre che ritorniamo continuamente all’immagine del morto, alla sua tomba, al suo corpo? Le emozione si attenua in questi ripetuti contatti. Si smette di valutare, ogni volta, la distanza smisurata che separa questo cadavere da quel che è stato. Ci si sente meno violentemente presi di petto da questa contraddizione insostenibile di una presenza nella quale si materializza e si acuisce in modo infinito l’assenza. Si sta allora davanti al corpo, e non si trova più nulla in sé stessi, ci si sente vuoti; l’essere allungato là non significa nulla di più dei muri e degli alberi che s’incrociano tutti i giorni senza pensarci.
Jourde ha la capacità di elevare qualunque cosa tocchi. Il ritratto impietoso del degrado in cui versano alcune persone si trasforma in qualcosa d’altro: in una riflessione profonda sull’essere umano e la sua condizione.
In questo paese perduto in un’ Alvernia crudele e magnifica ci sono diverse personalità: dalle vecchine sempre più sole, alle donne morte di crepacuore. I silenziosi uomini abituati a lavorare a testa bassa, passando per i i traditori, gli amanti, i rinnegati, i perduti.
Paese perduto alla fine è una ricerca di identità che passa anche per verità scomode. L’identità delle origini, l’identità che al tempo si stesso si smarca e si mescola a un ritratto forte, vero. Paese perduto è un gioco di equilibri, lo dimostra il confine sottile tra divertimento e condanna quando si parla di alcool:
Le storie di alcol appartengono al registro comico. È la ragione per la quel è difficile dirne male. I piaceri che dà sono di ogni tipo, a volte sottili, altre brutali. Riscalda, aiuta a parlare, anima le conversazioni, dà loro una materia, cerca complicità, solennizza le transazioni, scioglie la diffidenza, sostiene la vita sociale. Segna tutti i momenti della vita, tutto quel che rassicura l’essere umano nella sua umanità e l’uomo nella sua virilità. È un piccolo dio buontempone e familiare.
Paese perduto è…
Un’àncora a cui aggrapparsi e anche un peso dal quale Jourde molto probabilmente non riuscirà mai a liberarsi e forse non vuole nemmeno farlo.
Per me è stato difficilissimo raccontare un libro così. Credo che ognuno di voi troverà qualcosa in grado di colpirlo, disorientarlo e affascinarlo. Chi come me è cresciuto conoscendo vita, morte e miracoli di quelli delle case vicine si ritroverà. Il giro delle dimore con i bicchieri pieni, gli sguardi dalla finestra, la solitudine degli scapoli, la malinconia per non aver conosciuto abbastanza le persone che se ne sono andate… e ancora quello sdoppiamento, quella crepa che ferisce chi il paese l’ha amato, poi rinnegato e lasciato, ma ora farebbe di tutto per tornarci.
La verità però è che Paese perduto è molto di più: affronta i grandi temi della vita, riempie di domande e lascia anche un po’ stremati. Paese perduto è destinato a diventare un grande classico. C’è solo un rischio: quello che leggerete dopo e non sarà scritto da lui vi sembrerà pallido, poco intenso, un po’ banale.
4 COMMENTI
sabrina
2 anni faDopo aver letto una recensione così entusiasta e ben scritta ho comprato il libro e l’ho appena finito di leggere. Confesso di aver fatto una fatica enorme a leggerlo. spesso ho dovuto rileggere frasi che non riuscivo bene a comprendere per il linguaggio utilizzato. Insomma non mi ha presa…
Alessandra - La lettrice controcorrente
2 anni fa AUTHORSabrina, non è certo un libro facile, si intuisce dalle citazioni. Forse non era il momento giusto, forse non ha toccato le corde che ti aspettavi ma ti ringrazio per avermi dato fiducia e averlo letto. Mi dispiace non ti abbia colpito come ha colpito me.
Paolo
2 anni faLa recensione del libro “Paese perduto “ mi ha incuriosito, oggi pomeriggio l’ho acquistato, credo che non mi deluderà. Grazie anticipatamente per avermelo fatto conoscere.
Ester
3 anni faBellissima la recensione, mi ha incuriosito molto. Non conosco questo autore ma cercherò il libro. Grazie.