Infanzia
La trama
Nella sua prima traduzione italiana Infanzia, il volume che inaugura la trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen: tre romanzi autobiografici riscoperti di recente e giustamente celebrati a livello mondiale come capolavori.
La piccola Tove vive con i genitori e il fratello maggiore in un quartiere operaio di Copenaghen. Il padre, uomo schivo dalle simpatie socialiste, si barcamena passando da un impiego saltuario all’altro. La madre è distante, irascibile e piena di risentimento: non è facile prevedere i suoi stati d’animo e soddisfare i suoi desideri. A scuola Tove si tiene in disparte, dentro di sé è convinta di essere incapace di stabilire veri rapporti con i coetanei; fa però amicizia con la selvaggia Ruth, una bambina del suo quartiere che la inizia ai segreti degli adulti. Eppure anche con lei Tove indossa una maschera, non si svela né all’amica né a nessun altro. La verità è che desidera soltanto scrivere poesie: le custodisce in un album gelosamente nascosto, soprattutto da quando il padre le ha detto che le donne non possono essere scrittrici. Sempre più chiara, in Tove, è la sensazione di trovarsi fuori posto: la sua capacità di osservazione, lucida, inesorabile, ma al tempo stesso sensibilissima, le fa apparire estranea l’infanzia che sta vivendo, come se fosse stata pensata per un’altra bambina. Le sta stretta, quest’infanzia, eppure comincerà a rimpiangerla nell’attimo stesso in cui se la lascerà alle spalle.
Tove Ditlevsen, impeccabile ritrattista di una femminilità punteggiata di chiaroscuri, ci ha generosamente aperto le porte delle molte stanze da lei abitate negli anni, lasciandoci delle pagine indimenticabili, destinate a restare.«I tre volumi della trilogia di Copenaghen formano un tipo particolare di capolavoro, il tipo che arriva a riempire un vuoto. È un po’ come scoprire che Lila e Lenù, le eroine di Elena Ferrante, sono reali... La strada di Istedgade è pungente (e pericolosa) quanto lo stradone della Ferrante».
«The New York Times Book Review»«Come si annuncia la grande letteratura – quella di serie A, quella con la L maiuscola? Annuncio la trilogia di memorie di Tove Ditlevsen con l’emozione tipica di quando ho davanti un capolavoro».
Parul Sehgal, «The New York Times»«La trilogia è un vero tour de force. Questi libri sono sfavillanti, come mi aspettavo. Straordinariamente intensi ed eleganti».
Lucy Scholes, «The Paris Peview»«La trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen, poco ma sicuro, è uno dei più importanti eventi letterari dell’anno».
Sophie Wennerscheid, «Süddeutsche Zeitung»«La sua evocazione della battaglia di una donna della classe operaia con padroni, guinzagli e i suoi stessi demoni ne fa un vero capolavoro».
Liz Jensen, «The Guardian»«Ciò che autrici come Annie Ernaux stanno facendo oggi, Tove Ditlevsen l’ha fatto più di cinquant’anni fa. Scrittura autobiografica a cui inchinarsi. Finalmente, finalmente!».
Emilia von Senger, «She Said»«Vado dritto al punto: questi sono i migliori libri che ho letto quest’anno. Infanzia ha le frasi chiare e semplici di Natalia Ginzburg ma anche l’orrore pervasivo di una bella favola».
John Self, «New Statesman»
– Poesia –
Infanzia di Tove Ditlevsen (Fazi editore) è il primo volume della trilogia di Copenaghen. Fin dalle prime parole sono rimasta ammaliata: le frasi di Ditlevsen sono brevi, asciutte e potenti. Infanzia si legge in pochissimo tempo eppure rimane in testa a lungo. Tove è la nostra protagonista, sì perché questa è una storia autobiografia e questo elemento rende ancora più affascinante la lettura di Infanzia.
Fin dalle prime righe capiamo che la storia si tingerà di malinconia. Come tutte le storie di famiglia sarà carica di non detti. Tove guarda la madre con ammirazione e sa che l’unica cosa che le impedisce di avere un rapporto più profondo è proprio l’infanzia. Gli unici momenti di confidenza e profonda serenità, avverranno soltanto quando la madre si dimenticherà che Tove è solo una bimba.
Al mattino la speranza c’era. Si posava come un effimero bagliore sui capelli neri e lisci di mia madre, che io non ho mai osato toccare, e si stendeva sulla mia lingua insieme allo zucchero del semolino tiepido che mangiavo lentamente, mentre osservavo le sue mani affusolate, ripiegate l’una sull’altra, immobili sul giornale che parlava dell’influenza spagnola e del Trattato di Versailles. Mio padre era andato al lavoro e mio fratello a scuola. Perciò mia madre era sola, anche se c’ero io, e se restavo perfettamente immobile senza dire nulla, la quiete distante del suo cuore misterioso poteva durare finché il mattino non fosse invecchiato e lei non fosse dovuta uscire per fare la spesa in Istedgade come una signora qualunque.
Leggendo l’incipit ero già conquistata, andando avanti di più. L’autrice ribalta le nostre convinzioni raccontando l’infanzia. Il punto di vista è quello di una bambina che non vuole crescere, una bambina che a un certo punto non è né adulta né fanciullina. Con uno sguardo amaro e disincantato, Ditlevsen ci conduce in un labirinto complicato: quello delle relazioni famigliari e amicali.
Buia è l’infanzia, e sempre sofferente come un animaletto intrappolato in un sotterraneo e dimenticato. Esce dalla gola come fiato condensato dal gelo, e certe volte è troppo piccola, altre volte troppo grande. Non ha mai la misura che ci vorrebbe. Solo quando la si perde come una pelle di serpente la si può osservare con calma e parlarne come di una malattia lasciata alle spalle. Quasi tutti gli adulti sostengono di avere avuto un’infanzia felice, e magari ne sono davvero convinti, ma io non credo. Secondo me, sono semplicemente riusciti a dimenticarla.
Tove si sente spesso fuori posto. Ha una sensibilità diversa dai compagni di scuola e per questo viene presa in giro o esclusa da giochi e chiacchiere. A dieci anni riempie un quaderno di poesie che mostrano un’intensità inaspettata:
Mi sembrava che i miei versi coprissero le crepe della mia infanzia, come pelle nuova e bella sotto una crosticina non ancora staccatasi dalla ferita.
Tra i versi poetici e il desiderio di essere finalmente vista dalla madre, si insano i problemi della vita quotidiana. Il padre di Tove ed Edvin è infatti un fervente socialista che si ritrova senza lavoro. Da una parte l’amore per la letteratura e dall’altra la durezza della vita. Tove va a scuola sapendo già leggere e scrivere dimostrando che “anche i poveri hanno sale in zucca” e rendendo orgogliosa la mamma.
Infanzia diventa più briosa e divertente quando descrive le scorribande con l’amica, i pomeriggi trascorsi a rubacchiare nelle botteghe per poi correre a perdifiato lungo la strada. E ancora le ore trascorse in negozio a provare vestiti che non possono permettersi… Ma la cupezza dell’infanzia non si può scacciare facilmente:
L’infanzia è lunga e stretta come una bara, e non si può uscirne da soli. È sempre presente, tutti la vedono con la stessa
chiarezza, allo stesso modo in cui è visibile il labbro leporino di Ludvig Bello. Anche lui è come Lili Bella: è talmente brutto che non si riesce a immaginare che abbia mai avuto una madre. Tutte le cose brutte o disgraziate, le chiamiamo belle, e nessuno sa perché. All’infanzia non si sfugge, resta attaccata addosso come un odore. La si sente sugli altri bambini, e ognuna ha un aroma tutto suo. Nessuno sente il proprio, perciò a volte si ha paura che sia peggiore di quello altrui. Siamo lì, intenti a parlare con una bambina la cui infanzia odora di cenere e carbone, e all’improvviso lei arretra di un passo perché ha sentito il fetore della nostra. Osserviamo di nascosto gli adulti, la cui infanzia è seppellita in loro, lacera e sforacchiata come un tappeto consunto e tarmato, al quale nessuno pensa, e che non serve più. A guardarli non si direbbe che ne abbiano avuta una, e non si osa chiedere come abbiano fatto a superarla senza riportarne profonde cicatrici in viso. Viene il sospetto che abbiano preso una scorciatoia segreta e indossato la loro forma adulta anni prima del tempo.
Infanzia è…
Inaspettatamente poetico. Sì, perché lo stile è semplice e asciutto solo all’apparenza. Basta addentrarsi nel testo per scoprire che le frasi sono costruite con musicalità e profondità. Ho apprezzato moltissimo l’idea di raccontare i rapporti, le difficoltà e i lutti con gli occhi di una bambina sensibile e al tempo stesso disincantata.
Non sono riuscita a dare quattro stelle però, perché il testo è davvero troppo breve. Arrivata alla fine ho sentito che era troppo presto per lasciare Tove. Non so quando Fazi pubblicherà il secondo volume ma ho una grandissima voglia di leggerlo e non vedo l’ora. Vorrei poter dare un voto unico alla trilogia, quindi staremo a vedere!
Consigliato per chi è in cerca di una storia vera, appassionante e coinvolgente. Ho come il presentimento che la storia di Tove così poetica prenderà presto una piega amara. Staremo a vedere!
1 COMMENTO
Ester
2 anni faSono d accordo. Anche io ho provato le stesse emozioni leggendo Infanzia. L’ho adorata dalla prima parola all’ultima..troppo breve avrei continuato all’infinito
Spero esca presto l ultimo della trilogia.
Se volete un consiglio ora dedicatevi ad Annie Arnaud. Stessa sensibilità stessa toccante empatia.