La prima pietra
La trama
Pierre Jourde ritorna sugli avvenimenti del 2005 che seguirono la pubblicazione del suo libro "Paese perduto" (Prehistorica Editore 2019), e che furono al centro della cronaca: il tentativo di linciaggio ad opera di una parte degli abitanti del villaggio di cui l’autore aveva osato raccontare la brutale bellezza. La strenua difesa – a mani nude – della propria famiglia, prima accerchiata poi bersaglio di una sassaiola. "La prima pietra" ripercorre quei fatti violenti proponendo un’appassionante analisi delle loro cause. Ma soprattutto offre la magnifica dimostrazione della potenza della Letteratura, nonché un racconto vibrante d’emozione e d’ammirazione per quelle contrade e quelle genti, che vivono un tempo mitico, lontano da quello delle città.
Da oggi, 14 aprile, trovate La prima pietra di Pierre Jourde in tutte le librerie. Il testo, edito da Prehistorica Editore e tradotto da Silvia Turato, è stata una bellissima sorpresa per me. Non tanto perché nutrissi dei dubbi sulla scrittura di Pierre Jourde (come potrei?) ma perché dopo essermi innamorata di Paese perduto (LEGGI QUI la mia recensione) avevo paura. Sì, paura che questo libro, indipendente certo, ma strettamente legato a Paese, potesse non essere all’altezza. Dopo aver scritto un libro perfetto perché tornare sugli avvenimenti? Perché Jourde aveva ancora qualcosa da dire, o meglio da scrivere, e lo ha fatto magnificamente.
Sei motivi per leggere La prima pietra
Ho scelto di non scrivere una tradizionale recensione perché mi piacerebbe invogliare i lettori a leggere prima Paese, e poi La prima pietra, ed è difficile raccontare il secondo senza svelare gli episodi salienti del primo. Ad ogni modo, “La pietra” è un libro indipendente che potrete leggere prima o dopo Paese, ma preferisco consigliarvelo come secondo testo, perché una volta entrati nell’universo di Jourde non vorrete più uscirne. Ecco i miei XXX motivi per leggere La prima pietra.
1.L’esilio poetico e crudele
Dire che La prima pietra è un libro sull’esilio poetico e crudele è senza dubbio riduttivo. Eppure la storia di Jourde è in un certo senso quella di un esiliato. Ritornato al paese di origine con la tipica tensione di chi lascia un luogo ma continua ad abitarlo nel cuore, scopre quel posto così inospitale per chi “viene da fuori” è diventato tale anche per lui. Nessuno lo vuole lì, e le pietre lanciate contro l’auto e contro i bambini a bordo è un messaggio che arriva forte e chiaro allo scrittore.
Improvvisamente Jourde è costretto a fare i conti con gli effetti delle parole usate in Paese perduto, con la cattiveria e con la violenza. Anche la narrazione dei media ha un ruolo importante in questa storia: da una parte la fazione di chi non sa esprimersi con le parole e usa le mani, e dall’altra lo scrittore che staccandosi dalle origini si è quasi preso gioco di un mondo che è rimasto congelato e sgretolato allo stesso tempo. Intere pagine sono dedicate al senso della letteratura e allo scopo di Paese. Se lo avete già letto capirete ogni cosa, se invece non l’avete ancora fatto, avrete una gran voglia di intraprendere quel viaggio.
Il tema dell’esilio, della contrapposizione che vive dentro chi ha abbandonato il paese e vive in città (e quindi non appartiene a nessuno dei due luoghi e a entrambi) è un tema abbastanza diffuso, ma nessuno lo tratta come Jourde.
2. Le certezze che si sgretolano
Questo motivo somiglia a quello che avevo indicato per Vite di coppia di Huysmans, e no, non è un caso che io accosti i due autori. Per Vite di coppia scrivevo: “I libri sono specchi del mondo. A volte restituiscono una realtà che già conosciamo senza aggiungere nulla, talvolta costruiscono un’immagine diversa. Il secondo caso è quello dei capolavori”. E qui è la stessa cosa. C’è un vero e proprio ribaltamento: la magnificenza del letame, la grandezza della solitudine, la potenza struggente della violenza. Rovesciate i preconcetti: il buio non è un valore negativo.
Possibile raccontarlo? No, potete solo leggerlo.
3. I contrasti
Jourde è l’uomo dei contrasti: il pugile scrittore, l’uomo che magnifica la merda e la solitudine. Leggere La prima pietra è un’esperienza, come ho scritto sopra, in grado di ribaltare le convinzioni più assodate. Nessun autore forse potrebbe permettersi di costruire le frasi come lui per parlare di sporcizia, letame e della vita, tra dolore, amore e solitudine. Solo Jourde può permettersi di accostare i lillà di Proust ai liquami delle vacche, lasciando intatta la delicatezza dell’immagine. Ma qui forse, mi conviene fare un passo indietro e far parlare lui:
E come lanciarsi là, in quel momento, nella grande sala che conosci così bene, con i suoi muri ridipinti di azzurro cielo, la sua cucina a legna al centro, in un’esegesi del tuo libro? Come dire loro ciò che dice anche lui, in maniera tanto evidente, che il bambino che eri aveva scoperto l’onnipresenza, al villaggio, della mucca e della bovina della mucca, che eri stato in qualche modo battezzato a quattro anni, cadendo nella fossa del liquame, e che da allora, come la memoria del narratore di Proust che i suoi amici non vedono respirare, quando si trova in mezzo a loro, nel suo ricordo l’odore di invisibili e persistenti lillà, quelli di Combray, poche frasi in letteratura ti colpiscono quanto quella, allo stesso modo la tua memoria cercava di tornare a quell’odore d’infanzia, profondo, organico, che odorava la morte e la nascita, il latte e la merda, e le bovine a vortici marroni o verdastri disseminate ovunque nel villaggio erano i soli neri spinti dal profondo delle viscere delle dee nere, le grandi mucche impassibili.
4. Lo stile
Un grande libro si riconosce dallo stile. Sembra una banalità ma non lo è, soprattutto ora. Vanno molto di moda gli stili scarni, asciutti che spesso si trasformano in prevedibili, piatti, poveri. Non è un caso che gli stili di molti autori contemporanei si somiglino. Ecco, io non so quando la parola “complessità” ha assunto un’accezione negativa ma so che ritrovare la complessità nei libri è diventata una missione. In Jourde c’è quello che cerco da sempre: qualità e capacità di aprire mondi che magari credevo anche di conoscere…ma non è così. Se la letteratura racconta quello che già sappiamo allora non è letteratura.
5. Il finale
Il finale. Sono cattivissima lo so, perché è un motivo che non posso svelare. Ma quando sono arrivata alle ultime venti pagine avrei voluto che il testo non finisse mai. Improvvisamente mi è stato chiaro il perché di questo libro. Per alcune pagine, le centrali, mi sono ripetuta: “lo so, io so perché hai scritto Paese!” e quindi temevo che non avrei scoperto nulla di nuovo. Invece le commoventi pagine finali tra descrizioni esterne ed interne sono un capolavoro.
Non hai mai smesso di sognare il villaggio. Quasi ogni settimana, da molti anni, ti appare in sogno. Può prendere tre o quattro figure, molto diverse dal suo aspetto reale, ma sempre le stesse. E durante quelle notti, sin dalla tua infanzia, continui a esplorarlo, non hai mai finito. Cerchi di ritrovare i vecchi sentieri che ti avevano sorpreso nei sogni passati. Porti avanti esplorazioni di case o di boschi che non sei ancora riuscito a completare. Luogo simile al corpo di una persona amata, che si vorrebbe stringere, carezzare, di cui si amerebbe alleviare la sofferenza, di cui si ascolta il cuore, sul volto di chi ne osserva il lento travaglio del tempo. Come ogni amore, fonte di gioia e fonte di angoscia. Ancora di più, è quello il tuo stesso corpo, è nella tua gola che crescono gli alberi, è nel buio del tuo ventre che palpitano le stelle delle sue notti, è la tua pelle che invadono i suoi licheni e le sue felci.
6. Rileggerei La prima pietra ancora e ancora
La prima pietra è un capolavoro. Mi chiedete spesso se c’è un autore che possa rubarmi il cuore, la mente, tutto, come ha fatto Proust. Secondo me, la risposta l’avete trovata in questi sei motivi. Sono due autori molto diversi eppure le corde toccate sono le stesse, questo è un libro che rileggerei, ancora e ancora. Proprio come La Recherche. E l’emozione è la stessa: per un attimo mi sono sentita di nuovo diciottenne con la certezza che forse nella vita non so fare molte cose, ma so riconoscere i capolavori. E scusate se è poco.
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