Abbandono
La trama
«Per capire la mia solitudine avevo bisogno di capire quella di mia madre. E per capire lei dovevo prima capire mia nonna, Rita.» Così Katherine – antico nome di famiglia dietro al quale si cela la stessa Åsbrink – ricostruisce la storia di Rita, il suo arrivo fortuito a Londra a causa di un padre distratto che presto abbandonerà la famiglia, la sua lunga relazione clandestina con Vidal, un ebreo sefardita esule da Salonicco al quale la rigida tradizione famigliare vieterebbe di sposarla, e infine il suo tardivo e malinconico matrimonio. E poi le inquietudini di Sally, la loro prima figlia, insofferente nei confronti del padre e angosciata dal clima antisemita di Londra, che cercherà rifugio in Svezia. Attraverso le vite complicate e insoddisfatte delle due donne, Katherine ripercorre la storia del nonno, Vidal, un uomo nato nell’impero ottomano che nella Londra del primo Novecento non può essere né turco, né greco né tantomeno inglese, ma riconosce come unica vera patria la Spagna da cui i suoi avi vennero espulsi nel XIV secolo. Con la sua capacità di intrecciare i ricordi famigliari e gli eventi storici, Åsbrink ricostruisce le tormentate vicende del popolo sefardita dal Medioevo al secolo scorso, e ne raccoglie il retaggio in un’appassionata ricerca delle proprie origini nella Salonicco di oggi. E nel ricordo della madre e della nonna avverte un legame doloroso, la condivisione del medesimo sentimento di abbandono da cui non può sfuggire e che la porta, con tutta l’intransigenza di cui è capace, a fare i conti con la sua storia e le sue stesse scelte di vita.
– Solitudine –
Con Saghe familiari controcorrente abbiamo terminato Abbandono di Elisabeth Åsbrink (Iperborea). Se la prima parte ci ha conquistato (non eravamo proprio tutte d’accordo), a lasciarci perplessa è stata l’ultima. Ma procediamo con ordine. Ci sono tre generazioni di una famiglia che vengono presentate, il filo conduttore è l’autrice che indaga sulle proprie origini.
Partiamo da Rita, donna che incontriamo nel 1949. Di lei non sappiamo quasi nulla: fa quadrare i conti in casa, si dedica alle faccende e… si è appena sposata. A ritroso procediamo nella vita di Rita e del marito. Perché si è sposata così tardi? Perché è rimasta incinta e ha cresciuto le figlie senza un legame matrimoniale. Per quale motivo? Per scoprirlo è necessario andare avanti, scavare a ritroso, indignarsi e meravigliarsi.
La storia d’amore con Vidal all’inizio è travolgente e appassionante. Ma non dovremo aspettare molto per renderci conto che la favola rischia di trasformarsi presto in un incubo. Sì, perché Vidal è un uomo che ha degli obblighi molto forti nei confronti della famiglia e si trova così diviso tra la possibilità di uno scandalo e l’infelicità di Rita… ovviamente a subire è Rita che diventa sposa solo nel fine settimana.
La seconda parte del romanzo è dedicata a Sally, una donna difficile da inquadrare. Triste e abbandonata, e a ben vedere sono queste le due parole chiave del romanzo:
Per capire la mia solitudine avevo bisogno di capire quella di mia madre. E per capire lei dovevo prima capire mia nonna, Rita.
Così Katherine, pseudonimo dell’autrice, si mette a indagare sulla storia familiare passando appunto da Rita a Sally che ha scelto di trasferirsi in Svezia anche a causa del clima di antisemitismo.
Londra, Stoccolma e Salonicco sono i luoghi di ricostruzione della storia familiare. Sì, perché il viaggio di K. è introspettivo ma anche fisico. Qual è l’origine della propria famiglia?tra antisemitismo, storia e dolore, l’autrice ci trasporta qui:
Sono nata pronta a fuggire. Prima ancora di essere grande abbastanza da capire quello che sarebbe successo, sapevo che sarebbe potuto succedere di nuovo. Sono la terra, il mattino e la vegetazione lussureggiante. Sono le abitudini e i pensieri che si susseguono uno dietro l’altro, non desidero altro posto all’infuori di questo, il posto dove sto, dove cammino. Sono la lumaca che striscia sul muro di pietra sotto le grandi foglie dell’ortensia, sono gli insetti dalle ali trasparenti che annegano nel barile dell’acqua piovana. Sono il sole che spunta in un mattino di dicembre e disperde la foschia, sono nata dall’emigrazione e dalla fatica, dalla perdita e dall’addio, non voglio altro che affondare le mie radici contorte nella terra perché niente mai le possa estirpare, sono tutto questo e non me ne vado da nessuna parte.
Se la prima parte mi aveva conquistato, la seconda mi aveva fatto vacillare un pochino, non capivo davvero cosa legasse, a livello di stile questi due capitoli, la terza mi ha messo a dura prova. Il modo di raccontare la storia – e ragazzi, io ho fatto storia all’università quindi la noia non esiste, non mi è piaciuto. Gli episodi di antisemitismo, la scoperta delle vicende incredibili che hanno coinvolto gli antenati di Åsbrink sono interessanti ma non li ho letti con quel trasporto che mi sarei aspettata.
Tutte concordi nel dire che da questo libri ci saremmo aspettate una narrazione più coinvolgente, più omogenea e accattivante.
Abbandono è…
Solitudine. Questi personaggi sono soli, incompresi e spaventati. La verità è che spesso è difficile giudicare negativamente un libro quando si parla di antisemitismo o di vicende personali, ma non c’è nessun giudizio sulla vicenda, solo non siamo riuscite ad apprezzare il libro come ci saremmo aspettate.
E l’ imperdonabile? Anche l’ imperdonabile. Il cuore spezzato è grande. Può fare posto a un dirupo di perdono mai concesso, a un massiccio montuoso di no. Si espande attraverso il dolore. Come l’ universo. Come il mio cuore. E il mio cuore batte. Perché io sono K., sono Katherine, sono la Guerriera. Io non perdono.
Consigliato per chi è in cerca di una storia particolare, narrata con registri diversi, approfondita dal punto di vista storico con un linguaggio asciutto e giornalistico (non a caso l’autrice è giornalista). Non è però una saga familiare nel vero senso della parola. Ho dato tre stelle perché le prime di due parti mi hanno convito più dell’ultima.
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