Chimere (Italian Edition)
La trama
Nella sua prima traduzione italiana, uno dei romanzi più importanti del Novecento olandese: un classico moderno che in patria ha venduto quasi un milione di copie e continua a formare nuove generazioni di lettori.
I coniugi olandesi Maarten e Vera, settantenni, vivono da tempo negli Stati Uniti, sulla costa a nord di Boston. Vedono raramente i due figli, Kitty e Fred, che abitano nei Paesi Bassi. La loro è una vita abitudinaria, scandita da piccoli riti: le passeggiate con il cane Robert, le visite dei vicini, le puntate al pub locale, la pizza della domenica. Il mondo di Maarten comincia a sgretolarsi quando una mattina si affaccia alla finestra e non trova quello che si aspettava: al posto dei bambini chiassosi in attesa dello scuolabus, vede soltanto un paesaggio innevato. «È domenica», gli ricorda Vera. Per la prima volta, Maarten si accorge di provare una «sensazione di momentanea assenza in piena coscienza, un senso di smarrimento, di spaesamento». Il suo primo istinto è quello di dissimulare, minimizzare, non farne parola con la moglie prima di capire perché il passato e il presente sempre più spesso si confondono e i ricordi diventano un’illusione sfuggente...
Chimere è un romanzo sulla memoria, sul conflitto tra realtà e percezione, ma anche una riflessione sulla lingua come strumento che plasma e disfa l’esistente. Con una scrittura gentile, senza mai concedersi sentimentalismi, Bernlef riesce a infondere nelle pagine di questo suo piccolo capolavoro un’umanità quasi palpabile, che avvince e commuove.
– Memoria –
Chimere di J. Bernlef (Fazi editore) è un libro che mi ha toccato moltissimo. Maarten Klein è un uomo di settant’anni che vive con la moglie Vera. La loro vita è tranquilla e scorre senza colpi di scena o imprevisti… almeno all’apparenza. Una mattina Maarten si affaccia alla finestra e oltre alla distesa di neve non vede altro. Possibile che non ci siano i soliti ragazzini pronti per la scuola? Non ci sono perché è domenica. Un errore piccolissimo, perdere il senso del tempo, specialmente quando si è in pensione è comune, nessun campanello d’allarme, nessuna preoccupazione. Ma quello per Maarten è l’inizio di un’inesorabile discesa agli inferi.
Olandese di origine, Maarten si ritrova sempre più spesso a pensare ai ricordi lontani, al papà, alla guerra… Chimere è raccontato in prima persona e presto la voce di Maarten comincia a perdersi e sbattere contro i muri del labirinto della malattia.
Preso le passeggiate con Robert e le azioni quotidiane per il nostro protagonista diventano faticose. In cucina gli oggetti spariscono, le azioni vengono lasciate a metà e diventa quasi impossibile ricordarsi “gli ordini” di Vera. Ma cosa gli sta succedendo? La testa diventa leggera e la confusione aumenta, all’inizio lentamente, poi a una velocità spaventosa.
La dolcezza della scrittura di Bernlef si trasforma presto in angoscia. Non riusciamo a staccare gli occhi e in maniera totalmente insensata continuiamo a sperare che la malattia subisca una battuta d’arresto. Ma chiunque abbia avuto o ha in casa situazioni simili sa che non funziona così.
Maarten si prepara per andare al lavoro, vuole passeggiare con Robert anche se è appena uscito, non trova il caffè, si alza in piena notte e si veste… ormai le parole crociate non bastano più, la nebbia in testa non si dirada e Marteen comincia a confondere le persone a sovrapporre i ricordi…
In mancanza di memoria puoi soltanto guardare, e allora il mondo ti scorre attraverso senza lasciare traccia.
I figli ormai sono grandi e non fanno più visita ai genitori ed è Vera a sobbarcarsi la malattia del marito. Ma in Chimere, che è appunto narrato in prima persona, il focus è tutto sul malato. Per la prima volta ho letto un romanzo in cui l’autore non si concentra sull’accudimento, sulla fatica di chi sostiene la persona affetta da demenza. Per la prima volta l’unico punto di vista è quello di Maarten: è lui che confonde la moglie con la madre, è lui non a riconoscere la badante, a scambiare la barista per una sua vecchia fiamma, a confondere il presente con un passato fatto di guerra e ristrettezze. Mi si è stretto il cuore ad ogni pagina, perché è “facile” immedesimarsi nella persona che accudisce un malato di demenza senile o di Alzheimer, è molto più difficile mettersi nei panni di quel malato che, soprattutto all’inizio, vede fuggire pensieri e azioni. Orientarsi nella confusione del protagonista è impossibile e finiamo per perderci anche noi.
La colpa è dell’inverno, di tutto quel bianco che inghiotte voci e pensieri. Maarten non distingue più nessuno, vagamente riesce a capire di non trovarsi a casa. Si gratta le croste, guarda il sangue “finché scorre c’è speranza” ma non riconosce la donna che ha davanti… le notti legato, l’odore delle feci, lo smarrimento, la paura… Chimere è un romanzo atrocemente spietato e inaspettatamente delicato.
Chimere è…
Memoria. Cosa siamo quando perdiamo quella? Chi siamo quando la nostra percezione della realtà non corrisponde alla realtà vera? Quello di Chimere è un cortocircuito spaventoso e spaventosamente comune. Le ore trascorse davanti all’album di famiglia diventato torture, sofferenza per chi guarda volti ed espressioni che non riconosce (anche se si tratta di sé stessi) e per chi rimane a guardare lo sgretolarsi della persona amata.
Chimere è un capolavoro e sì, è molto triste. Eppure dopo ogni inverno la primavera si riaffaccia e chissà che in quel barlume di speranza non si insinui anche un attimo di lucidità.
Consigliato per chi è in cerca di una storia malinconica, straziante, narrata in maniera delicata e commovente. Chimere è un libro che ci ricorda, ancora una volta, di vivere la vita appieno perché i ricordi possono volare via alla velocità della luce e lasciarci smarriti e provati.
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