
L'impossibile ritorno

La trama
Amélie Nothomb torna nel paese amato, il Giappone, il luogo della sua infanzia e della disastrosa vergogna come impiegata (vedi Stupore e tremori). Questa volta è in compagnia dell’amica fotografa Pep Beni e durante i dieci giorni di viaggio sperimenta il kenshō (una sorta di estasi contemplativa), abbandona lo champagne per i whisky giapponesi, si immerge con una nuova prospettiva nei luoghi della gioventù. E se alcune parole giapponesi sono ormai sbiadite nella memoria, le sensazioni che i suoni, gli odori e la luce le provocano si riaffacciano come se non avesse mai lasciato il Giappone. Questa avventura “á la Thelma & Louise” diventa così un’occasione non solo per elaborare il lutto del padre ma anche per capire la sé stessa di oggi.
– Malinconia –
Ho aspettato L’impossibile ritorno di Amélie Nothomb (Voland edizioni) come i bambini aspettano Babbo Natale, ma la magia che era avvenuta con Psicopompo (LEGGI QUI la mia recensione) lo scorso anno non è avvenuto questa volta.
Non dico di non aver apprezzato L’impossibile ritorno, anzi. Arrivata al finale ho rivalutato il libro ma sono rimasta comunque leggermente inosddisfatta: il finale è perfetto ma il libro si chiude troppo in fretta.
Come spesso sta accadendo con i libri di Nothomb, la componente biografia è fondamentale, è al centro della narrazione. Se con Psicopompo mi ero sentita così vicina a lei, è un testo che aiuta a capire la sua produzione e il suo modo di vivere, dunque di scrivere, qui ho conosciuto un altro aspetto dell’autrice, interessante certo, ma non sconvolgente.
In L’impossibile ritorno Amélie racconta l’amore più grande della sua vita: il Giappone. E proprio con la sua amica fotografa Pep Beni intraprenderà questo viaggio sulle orme dell’infanzia e inevitabilmente con la memoria, ripercorrerà le vicende di Stupore e tremori.
Nothomb non ama viaggiare e farlo tornando in un luogo così amato non è facile:
Se c’è un’arte nella quale non eccello, è quella del ritorno. Eppure nessuno ne ha fatto esperienza quanto me. Se ne deduce che l’esperienza non insegna niente: continuo a sbagliare i ritorni.
L’impossibile ritorno è prima di tutto un racconto malinconico. C’è questa doppia tensione, l’amore per un paese in cui la scrittrice è nata e ha trascorso l’infanzia, ma anche l’impossibilità di adottare il linguaggio, le usanze… è come se questo desiderio orientale poi non aderisse perfettamente al corpo e alla mente di Amélie, che si ritrova, suo malgrado costantemente fuori posto.
Il Giappone è il mio primo fallimento amoroso e ogni volta che ci torno rivivo quel colpo di fulmine e la constatazione che non ci riesco.
Non ci riesco. È una frase che mi ripeto cinquanta volte al giorno, e non solo in terra nipponica. Perché è proprio il paese del Sol Levante ad avermi insegnato questa sensazione terribile: non ci riesco. A fare cosa? Tutto, niente. A vivere in Giappone. A vivere
Ho amato il fatto che durante questi giorni in Giappone Amélie fosse accompagna da uno dei miei libri del cuore: Controcorrente di Huysmans (del mio amore per lui parlo vagamente anche qui) e mi ha reso questa autrice ancora più familiare.
L’impossibile ritorno è….
Malinconia. Ci sono diverse parti in cui mi sono rivista. L’amore non corrisposto o comunque un amore che non riesce a trovare canali tradizionali per esprimersi è un tema a me molto caro e la spiegazione finale che dà il titolo al libro è sublime.
Consiglierei L’impossibile ritorno a chi ha già letto diversi romanzi di Nothomb. Non credo infatti che chi non la conosce possa innamorarsi partendo da questo. Mi ripeto, il finale è bellissimo e dà senso a tutto il racconto, peccato che poi si chiuda tutto in una pagina. Amélie, è così bella la tua compagnia, perché non ti sei dilungata?
Consigliato per chi ama questa scrittrice e vuole arrivare a conoscere tutto, ma proprio tutto di lei. A Nothomb perdono tutto, anche la chiusura frettolosa.
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