Lasciami andare, madre
La trama
In una stanza d’albergo di Vienna, alle sei di un piovoso mattino dell’ottobre del 1998, Helga Schneider ricorda quella madre che nel 1941 ha abbandonato due bambini per seguire la sua vocazione e adempiere la sua missione: lavorare come guardiana nei campi – di concentramento, prima, e di sterminio, poi – del Führer. Che cosa spinge Helga, oggi, a incontrare questa vecchia estranea che è sua madre? La curiosità? La speranza che si sia pentita? O qualcosa di più oscuro e inquietante? «Verso di lei provo un rancore tenace, ma temo di non avere ancora rinunciato a trovare in lei qualcosa che si salva. Di qui il dubbio: è stata davvero spietata come dice o si mostra irriducibile perché io la possa odiare, liberandomi dell’incubo?». (H. Schneider)
– Profondo –
Lasciami andare, madre di Helga Schneider (Adelphi Edizioni) è un libro a metà tra il racconto e il diario. Helga è cresciuta fino all’età di quattro anni con i genitori. Poi la decisione della mamma le ha sconvolto la vita. Fervente sostenitrice del nazismo parte per servire il proprio paese ed obbedire ad Hitler, costi quel che costi. Il prezzo da pagare, almeno nell’immediato, è quello di lasciare marito e bambini. Helga non scorderà mai quel giorno, il giorno in cui in lacrime provava a trattenere la sua “Mutti”.
Lasciami andare, madre si apre il 6 ottobre 1998. Helga ha incontrato sua madre, dopo l’abbandono, solamente una volta, nel 1971. Un incontro che non è andato, per ragioni diverse, come speravano le due donne.
La scrittrice sogna di trovarsi di fronte una donna pentita, una donna diversa ma non sa quanto sia lontana dalla realtà. L’ex SS accarezza ancora l’uniforme, non prova sensi di colpa, ha solo obbedito agli ordini. Ordini di chi voleva cancellare una fetta di umanità.
Dopo 27 anni, Helga riceve la lettera di un’amica di “Mutti” (mamma), e così sceglie di dare, e darsi un’altra possibilità.
E’ così vecchia, così fragile. Ancora una volta, mio malgrado, mi intenerisce. Sto per andarmene, e ho paura che non riuscirò a spezzare il legame che mi unisce a lei. E dire che ho tentato di farlo mille volte, in mille modi diversi. Perfino rinnegando la mia madrelingua.
La protagonista è costantemente divisa. La odia ma non vorrebbe odiarla. Vorrebbe perdonarla ma non può farlo. Non solo, è combattuta anche tra il voler sapere e l’ignorare. Impossibile non chiedere a quella donna se ha mai provato pena per le proprie vittime. Come si sentiva quando i bambini venivano accompagnati nelle camere della morte?
Vorrei davvero poterti dire un’altra cosa, ma poiché pretendi la verità… Ebbene, l’avrai».
All’improvviso mi viene l’impulso di troncare tutto, di pregarla di tacere, di prendere commiato. Ma lo sopprimo.
«Per me doveva essere giusto ciò che era giusto per il governo,» esordisce con voce ferma «e non avevo il diritto a pensieri, opinioni o sentimenti di ordine personale. Avevo invece il dovere di obbedire senza discutere agli ordini superiori, e se questi ordini prevedevano di soffocare nelle camere a gas milioni di ebrei io ero pronta a collaborare. Per cui, credimi, non potevo assolutamente permettermi la minima debolezza nel confronti di mamme o bambini. Quando vedevo i più piccoli entrare nel bunker, l’unica cosa che riuscivo a pensare era: ecco dei marmocchi giudei tolti di mezzo, ecco dei neonati che non diventeranno mai disgustosi ebrei adulti».
La conversazione diventerà un continuo trattare, ricattare… L’ex SS oscillerà tra la fiera figura che era e quella che è adesso: una vecchia signora desiderosa di carezze e regali.
La narrazione è spesso interrotta dai ricordi. All’improvviso Helga si ritrova immersa nell’atmosfera di angoscia del loro primo incontro, di quando la madre le ha messo in mano, come regalo, gli ori sottratti ai prigionieri. L’orrore è impossibile da trattenere. Si ricorda della sua matrigna, della sofferenza del padre e di quanto la sua vita sia stata condizionata da quella assenza/ presenza.
Mentre le pagine si susseguono e seguiamo questo dialogo che riporta esperienze aberranti, seppur reali, scopriamo che ad interessarci non è tanto la mente di quell’anziana che fa i capricci, ma la mente di Helga. Come assimila queste informazioni, come le rielabora e soprattutto ci chiediamo: riuscirà a lasciarla andare?
Lasciami andare, madre…
È un libro profondo. E’ un viaggio nell’orrore dell’Olocausto e nell’orrore della mente umana. La tematica può spaventare ma le pagine possono essere divorate velocemente. La scrittura della Schneider è scorrevole e delicata ma il messaggio arriva forte e chiaro al lettore. Sono solamente 130 pagine e arrivata in fondo mi sono stupita di quante cose si possano dire, raccontare, in uno spazio così breve.
Tralasciare i campi di sterminio, la follia, l’ordine e la disciplina di un gruppo di soldati che ha rischiato di distruggere l’umanità, sarebbe impossibile. Ma questo è soprattutto il racconto di chi prova un rancore tenace ma non vuole rinunciare a perdonare. Il dubbio di Schneider alla fine, è anche il nostro.
«Di qui il dubbio: è stata davvero spietata come dice o si mostra irriducibile perché io la possa odiare, liberandomi dell’incubo?».
1 COMMENTO
Patrizia franchinap
3 anni faLasciami andare, madre è una testimonianza terribile e crudele non solo degli odiosi crimini commessi nei campi, della crudeltà gratuità nei confronti degli ebrei, ma testimonia quanto l’ideologia nazista avesse lavorato a fondo sulla coscienza di molti tedeschi trasformandola, indirizzandola verso un odio profondissimo è irrazionale verso un intero popolo e che ha reso possibile l’idea della soluzione finale con tutti gli orrori ad essa legati. Ha trasformato uomini in mostri che con razionalità lucida obbedivano ciecamente al messaggio di morte. Nel libro a tutto ciò si unisce il dramma di una bambina e poi donna, prima abbandonata dalla madre in nome di quella ideologia e che poi a distanza di anni ritrova con orrore immutata.