In Patagonia
La trama
Opera prima di Chatwin, pubblicata nel 1977 e subito diventata una leggenda, "In Patagonia" è la storia di un viaggio sulle tracce di un mostro preistorico e di un parente navigatore, e un inno all’incanto del vagabondare. Baracche di lamiera, assurdi chalets, finti castelli, vaste fattorie, espatriati eccentrici: ogni tappa è una miniatura di romanzo, in cui la Patagonia si rivela un luogo che fa parte della geografia di ognuno, anche di chi non c’è mai stato.
-Viaggio –
In Patagonia di Bruce Chatwin (Adelphi Edizioni) è un libro che trasporta, allontana e fa innamorare. E’ il 1974 quando Chatwin decide di intraprendere il viaggio che lo porterà in Patagonia, tre anni dopo darà alle stampe questo reportage che sembra un romanzo.
La storia si apre con i motivi che hanno spinto lo scrittore ad intraprendere il viaggio. Il primo è quello che fa più sorridere.
Nella stanza da pranzo della nonna c’era un armadietto chiuso da uno sportello a vetri, e dentro l’armadietto un pezzo di pelle. Il pezzo era piccolo ma spesso e coriaceo, con ciuffi ispidi di peli rossicci. Uno spillo arrugginito lo fissava a un cartoncino. Sul cartoncino c’era scritto qualcosa con inchiostro nero sbiadito, ma io ero troppo piccolo, allora, per leggere.
«Cos’è questo?»
«Un pezzo di brontosauro».
Sono queste le prime righe del romanzo, un racconto d’infanzia su un brontosauro vissuto in una regione lontana… lontanissima per un bambino: la Patagonia.
L’altro motivo ha radici ben più serie, questo Paese del Sud America, all’estremo limite del mondo, ai tempi della Guerra Fredda era considerato l’unico posto sicuro, ultimo riparo contro la bomba atomica.
Zaino in spalla, sorriso sulle labbra e la curiosità in testa, è così che Chatwin affronta il viaggio, pochi elementi ma fondamentali. La sua spedizione è fatta di alloggi di fortuna, albe e tramonti sconosciuti ma soprattutto di incontri.
Eh sì, perché da In Patagonia, definito il libro simbolo di tutti i viaggi, non ci si può aspettare una narrazione tradizionale. Non sono i paesaggi ad essere protagonisti, nonostante le foto scattate dall’autore stesso inserite nel volume, ma gli aneddoti raccontati dalle persone, e non solo quelle del luogo.
Chatwin nel suo pellegrinare incontra decine di persone di nazionalità diverse. La Patagonia è diventata per tutti un rifugio: inglesi, olandesi e perfino italiani.
L’autore descrive questi popoli, chi è festoso, chi litigioso, chi invece cerca solo pace. Non mancheranno gli incontri con personalità famose, anzi famosissime, ma non voglio rovinare le sorprese, mentre i dialoghi con le persone incrociate quasi per caso, lasciano il segno, le riflessioni che scaturiscono ci regalano un importante insegnamento. Il viaggio, è prima di tutto un percorso interiore, senza quello non ha senso spostarsi.
«Perché andate a piedi? chiese il vecchio, «Non sapete andare a cavallo? La gente di qui detesta quelli che vanno a piedi. Li credono pazzi». “«So andare a cavallo» dissi, «ma preferisco andare a piedi. Mi fido di più delle mie gambe».
« Ho conosciuto un italiano che diceva la stessa cosa».
Si chiamava Garibaldi anche lui detestava i cavalli e le case. Portava un poncho araucaniano e non aveva bagagli. Saliva fino alla Bolivia e poi si precipitava giù verso lo stretto. Era capace di fare quaranta miglia al giorno e lavorava solo quando aveva bisogno di stivali.
In Patagonia è…
Un viaggio e una metafora. Abituati a guardare le foto di posti esotici e lontani, abbiamo perso di vista che cosa sia viaggiare. Troppo impegnati a guardare e non a vivere, ci siamo dimenticati che i primi confini, i primi orizzonti che possiamo abbattere, sono quelli di mente e cuore.
Questo è un libro piacevole, anche se a tratti si rischia di perdere il filo perché i micro capitoli sono numerosi, adatto a chi vuole viaggiare, conoscere e scoprire posti, e soprattutto persone nuove.
Il reportage di Chatwin lascia in secondo piano le descrizioni, e questo può non piacere a tutti quelli che si aspettavano la Patagonia in primo piano, però, fa qualcosa di più complesso. Ci mostra un Paese attraverso gli occhi di chi lo vive ogni giorno. A turno, indossiamo i panni di forestieri (tutti diversi tra loro), persone del posto e dello stesso autore, che si evolve e subisce il cambiamento ad ogni tappa.
«Stamattina non sono di nessuna religione. Il mio Dio è il Dio dei Viandanti. Se si cammina con abbastanza energia, probabilmente non si ha bisogno di nessun altro Dio»
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2 COMMENTI
Elena
3 anni faHo molto apprezzato questa recensione, che mi ha mostrato dettagli sul libro che mi sono sfuggiti (leggendo di sera, ogni tanto gli occhi scappano). Però, personalmente, è stato un po’ deludente scoprire che Chatwin inventava, quindi la narrazione non è solo un viaggio reale, ma presenta aggiunte date dalla sua fantasia. Comunque complimenti per questo bellissimo blog.