Il giorno che diventammo umani
La trama
"Qual è il giorno in cui siamo diventati umani? Quale l'attimo in cui questa vitale e spossante consapevolezza ci ha invaso? Paolo Zardi usa storie e personaggi per raccontare questo momento e ad ogni pagina spinge il lettore a porsi questa domanda. I suoi sono racconti folgoranti, capaci di fotografare in uno stile lucido e rigoroso quello che siamo, senza orpelli né sottolineature, ma con un senso di pietas di rara bellezza".
– Lacerante –
Il giorno che diventammo umani di Paolo Zardi (Neo edizioni) è un po’ come tutti i libri di Neo. Una volta terminati non hai idea di come farai a parlarne.
Zardi tocca nervi scoperti e non lo fa con delicatezza: scova e denuda i nostri nascondigli, costringendo così le nostre idee, le nostre paure, ad uscire allo scoperto. Il giorno che diventammo umani raccoglie venti storie di persone diversissime tra loro, ma tutte con qualcosa in comune: il punto di non ritorno.
Sono tantissime le frasi che ho sottolineato e che non riporterò per non rovinare la sorpresa. Non c’è stato un solo racconto noioso, o stonato rispetto gli altri. Io, che fuggivo dai racconti ho divorato questo libro come ho fatto con i romanzi che ho amato. Mi sono approcciata ad ogni storia con la mente aperta, il cuore pronto a ricevere qualche stilettata e una strana ma permanente sensazione di angoscia: “Succederà qualcosa di brutto a questi personaggi”. Ma non voglio spaventarvi, Zardi “semplicemente” ci racconta la giornata in cui una persona X percepisce tutta la sua umanità: tra rinascita e dolore, racconta anche la nostra storia. Perché tutti abbiamo avuto quel maledetto/benedetto giorno che ha cambiato tutto. Penso alla vedova che dopo anni di dolore prova un orgasmo tornando così alla vita. Penso al centocinquenne che guarda i membri della sua famiglia andarsene… in una sorta di roulette russa a volte i personaggi escono più forti di prima da queste giornate, altre volte no, esattamente come nella vita vera.
In nel giorno che diventammo umani ci sono odori (quelli di strada, ospedali, sesso e sangue) e ci sono colori e rumori che si mescolano. Frammenti che trovano la loro esatta collocazione nelle ultime righe dei racconti, per questo ad ogni capitolo terminato rimanevo con la bocca aperta e la necessità di leggerne un altro. Sono arrivata per caso nella vita di queste persone e altrettanto improvvisamente sono costretta a lasciarla.
Ci sono racconti che mi hanno lasciato a bocca aperta, durante la lettura di Domenica pomeriggio ho sentito che qualcosa dentro di me si era spezzato mentre riaccompagnavo sul posto di lavoro una prostituta . In L’ultima sigaretta ho gridato insieme a quel padre di famiglia e ho perso la testa perché la vita non può essere così crudele e beffarda. In Fiat Duna ho sorriso, ma così amaramente che mi sono chiesta: “Cosa c’è da sorridere?”.
Non lo nascondo, Tac è quello che mi ha toccato di più e non potrebbe essere altrimenti.
Ogni tanto, le veniva in mente un libro, che le era capitato tra le mani tanti anni prima tratto quando andare ancora tutto bene, e l’interesse per la morte aveva natura, per così dire, accademica-nel quale spiegava come la gente, dei secoli passati, era in grado di valutare quando era arrivato il proprio momento; allora, ci si metteva a letto, si salutavano parenti amici, si faceva testamento, ci si confessava, si prendeva la comunione, e poi ci sei te ne vai sul fianco, guardando il muro: aspettando.
Nel 2000, invece, tutti – dottori, parenti, pazienti -negavano tutto fino all’ultimo momento: le cellule suo corpo erano impazzite, ma ancora deve andare al lavoro, ancora devo prenotare le vacanze: ancora doveva vivere. Suo marito, che conosceva la reale entità del male, la implorava comunque di resistere, perché – lo dicevano i medici – c’erano delle speranze: è da solo 43 anni, ed era troppo, troppo presto… In ospedale, e la sala da tesa, guardare compagno di chemio, e si chiedeva cosa avessero fatto di male, è che, per meritare quella punizione: pelate con i visi stravolti, I visi scuri, la pelle bianca, progetti, desideri-tutta una vita davanti che meritava di essere vissuta-, invece erano là, consumate, bruciate, riparate dal cancro e dalla sua cura.
E ancora in La cagna non riuscivo a capire dove volesse andare a parare, ne Il giardino dell’Eden ero pronta a giudicare a puntare il dito. Mi sono commossa in Prima di essere un uomo e ho riflettuto veramente tanto durante la lettura di Braci, quando due colleghi mettono a confronto le proprie vite e uno dei due capisce che il lavoro gli serve da anestetico.
«La paura della morte. Siamo pieni di questa fottutissima paura di morire. Basta fermarsi un attimo, ed ecco che inizia chiederti: tra quarant’anni, dove sarò? Cosa sarò? Pensaci. Pensaci solo un attimo, e vedrai che ti sei già rovinato la giornata. Ma se lavori, il tuo orizzonte temporale si riduce- Cristo, se si riduce! Perché il tuo problema diventa: riuscirò a consegnare il documento entro sera? E poiché sai bene quella sera sarai ancora vivo -Marinis escluso, ovviamente- sotto sotto ti convinci che lo sarai per sempre. O, come minimo, sai che sei riuscito a rimandare prima di morire al giorno dopo: oggi, mi spiace, ma ci sono cose più urgenti da fare. E come se tutti fossero convinti che si tratti di una questione di concentrazione: se stai facendo qualcosa, la morte si dimentica di te. Sai che c’è una popolazione di non so quale isola del Pacifico che non conosce la parola no? Dicono domani ecco, Finché si lavora, la morte è domani. La morte è no».
Il giorno che diventammo umani è…
Un libro che fa male, doloroso, lacerante. La banalità del male si mostra in queste pagine e brucia come sale sulle ferite che non so, se e quando guariranno. Zardi mi ha fatto vivere venti vite.
Ho stretto al petto mio figlio pensando al tradimento di poco prima, ho perso un marito, ho rimorchiato prostitute, ho sposato una moglie brutta, ho partecipato a un addio al celibato chiedendomi se stavo facendo la scelta giusta. Se davvero quella ragazza, che neanche produce rutti o scoregge, potesse essere quella giusta per me. Ho salutato la mia giovinezza, ammesso che ne abbia mai avuto una, sono invecchiata. Ho perso persone a me care, mi sono ammalata, sono caduta, mi sono rialzata.
Il giorno in cui diventammo umani non è un libro per ogni momento della vita e io l’ho cominciato in un momento triste e… mi sono sentita meglio. Credevo di non amare i racconti, ma semplicemente non li capivo. Se non siete esperti del genere, partite lo stesso da questo libro, vi colpirà, come ha colpito me e soprattutto vi lascerà una grande voglia di leggere altro di Zardi. Se già li amate, buttatevi… lasciatevi trasportare perché in queste storie c’è un pezzetto di noi.
3 COMMENTI
Maria Riva
5 anni faQusto libro di Paolo Zardi ” Il giorno che diventammo uomini” e molto comprensibile si corre come un film si puo vedere
gli avvenimenti,lo scrittore e molto esperto nella pratica dell mondo, ne della fantazia in atto segreto agli uomini.
Congratulazione.
Carlotta
6 anni faIo sono una fan di Zardi. I suoi racconti mi piacciono un sacco 🙂
Alessandra - La lettrice controcorrente
6 anni fa AUTHORIo sono partita da questo e l’ho amato! Piano piano provo a recuperare tutto!