Lasciami andare, madre di Helga Schneider (Adelphi) è uno dei libri che mi ha colpito di più lo scorso anno. Il tono pacato, l’amarezza e la sofferenza sono raccontate in punta di piedi. Helga vede l’orrore e sa che corrisponde agli occhi della madre, nazista fermamente convinta.
Vienna, martedì 6 ottobre 1998. In albergo.
Dopo ventisette anni oggi ti rivedo, madre, e mi domando se nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi figli. Stanotte non ho chiuso occhio. Ora è quasi giorno; ho aperto la serranda. Un fumoso velo di luce si va schiarendo sopra i tetti di Vienna.
Oggi ti rivedo, madre, ma con quali sentimenti? Che cosa può provare una figlia per una madre che ha rifiutato di fare la madre per entrare a far parte della scellerata organizzazione di Heinrich Himmler?
Rispetto? Solo per la tua veneranda età – ma per nient’altro. E poi?
Difficile dire: nulla. Dopotutto sei mia madre. Ma impossibile dire: amore. Non posso amarti, madre.
Mi sento agitata, e mio malgrado ripenso al nostro ultimo incontro, nel 1971, allorché ti rividi dopo trent’anni, e rabbrividisco al ricordo dello sgomento che provai scoprendo che eri stata un membro delle SS.
E non eri pentita, anzi. Ancora ti compiacevi del tuo passato, del tuo essere stata, di quell’efficiente fabbrica di orrori, una impiegata modello.
Sono le sei, il cielo è livido; la giornata sarà piovosa. E oggi ti rivedo, madre, per la seconda volta da quando mi abbandonasti, cinquantasette anni fa: una vita. Avverto un senso di eccitazione amara, di attesa impaziente. Perché nonostante tutto sei mia madre.
Che cosa ci diremo? Che cosa mi dirai? Coglierò in te una traccia di rammarico per quello che non c’è stato fra noi?
Avrai per me quella carezza materna che desidero da oltre mezzo secolo? O mi strazierai ancora con la tua indifferenza?
Nel 1971 vivevo in Italia e avevo un figlio piccolo, Renzo; fu all’improvviso che provai, irrefrenabile, il bisogno di cercarti. Ti trovai. E insieme al mio bambino mi precipitai a Vienna per riabbracciarti. Ma quel nipote che ti guardava con tanto incuriosito entusiasmo tu lo trattasti con distacco, negandogli il diritto di avere una nonna, così come negasti a me quello di avere finalmente una madre. Perché tu non volevi essere madre, fin da quando siamo nati hai sempre affidato ad altri me e mio fratello Peter. Eppure nel Terzo Reich la maternità veniva ossessivamente incensata, in particolare dal ministro della Propaganda Josef Göbbels.
Perfino Heinrich Himmler, Reichsführer delle SS e tuo capo, madre, sosteneva che un principio non doveva mai venire meno nei suoi membri: l’onestà, la lealtà e la fedeltà nei confronti degli appartenenti al proprio sangue. E i tuoi due figli non appartenevano forse al tuo stesso sangue?
No, tu non volevi essere madre; preferivi il potere. Di fronte a un gruppo di prigioniere ebree ti sentivi onnipotente. Guardiana di denutrite, esauste e disperate ebree dal capo raso, dallo sguardo vuoto – che miserabile potere, madre!
( Qui la mia recensione )
Lasciami andare, madre
La trama
In una stanza d’albergo di Vienna, alle sei di un piovoso mattino dell’ottobre del 1998, Helga Schneider ricorda quella madre che nel 1941 ha abbandonato due bambini per seguire la sua vocazione e adempiere la sua missione: lavorare come guardiana nei campi – di concentramento, prima, e di sterminio, poi – del Führer. Che cosa spinge Helga, oggi, a incontrare questa vecchia estranea che è sua madre? La curiosità? La speranza che si sia pentita? O qualcosa di più oscuro e inquietante? «Verso di lei provo un rancore tenace, ma temo di non avere ancora rinunciato a trovare in lei qualcosa che si salva. Di qui il dubbio: è stata davvero spietata come dice o si mostra irriducibile perché io la possa odiare, liberandomi dell’incubo?». (H. Schneider)
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