Jezabel
La trama
Quando entra nell’aula di tribunale in cui verrà giudicata per l’omicidio del suo giovanissimo amante, Gladys Eysenach viene accolta dai mormorii di un pubblico sovreccitato, impaziente di conoscere ogni sordido dettaglio di quella che promette di essere l’affaire più succulenta di quante il bel mondo parigino abbia visto da anni. Nel suo pallore spettrale, Gladys evoca davvero l’ombra di Jezabel, l’ombra che nell’"Athalie" di Racine compare in sogno alla figlia. La condanna sarà lieve, poiché la difesa invoca il movente passionale. Ma qual è la verità – quella verità che Gladys ha cercato in ogni modo di occultare limitandosi a chiedere ai giudici di infliggerle la pena che merita?
– Egoismo –
Jezabel di Irène Némirovsky (Adelphi) è il mio primo incontro con un romanzo della Némirosky, se si esclude La moglie di don Giovanni (trovate QUI la mia recensione) questa autrice era conosciuta da me solo per fama. Con un pizzico di timore, so che Némirosky piace praticamente a tutti, mi sono avvicinata a Jezabel. Ho trovato il libro su una bancarella dell’usato e grazie a un colpo di fulmine ho deciso di portarlo a casa con me! Sono rimasta davvero colpita, non mi aspettavo una storia così.
E infatti la storia si apre in un’aula di tribunale: Gladys Eysenach che con gesti abituali cerca, senza trovarla, la collana per calmare il nervosismo, seduta al banco degli imputati ed è accusata di omicidio. Per un attimo ci confondiamo tra il pubblico curioso e cerchiamo di sbirciare il volto dell’imputata sotto al cappello. Gladys è davvero bella come tutti dicono?
Stanca e provata la nostra protagonista qualche notte prima ha ucciso un giovane ragazzo che si trovava in casa sua. Gladys è una donna diversa dalle altre, ama la libertà, è bellissima e soprattutto non vuole sposare il suo amante Aldo. Per la giuria non sembra che ci siano molti dubbi: ha tolto la vita a un vent’enne che era il suo amante, Bernard Martin. Anche se nessuno sembra aver mai sentito parlare di lui, nessun imputato sembra davvero sorpreso dal comportamento di Gladys.
Non è stata invece questa donna, forte della sua bellezza, della sua ricchezza, del suo prestigio mondano, questa donna che vedete davanti a voi, signori giurati, ad attirare il giovane nella sua rete per corromperlo prima di ucciderlo? Queste cortigiane del gran mondo possono essere più pericolose delle altre perché sono più belle e più raffinate! Smascheriamo l’ipocrisia che consiste nell’esaltare queste etere eleganti e nel riservare tutto il nostro disprezzo alle umili praticanti dell’amore venale! Quelle di cui parlo, le varie Gladys Eysenach, vogliono l’anima dei loro amanti, e la vita!
Solamente quando lasciamo il tribunale riusciamo a ricostruire il carattere della donna accusata. Difficile parteggiare per lei, le sue risposte vaghe non ci convincono, Némirovsky ci fa capire che dietro a quegli occhi stanchi si nasconde qualcosa di più. Ammette la colpa, vuole essere condannata come se stesse fuggendo… sì, ma da che cosa?
Così veniamo catapultati al primo ballo di Gladys: una ragazza dall’abito bianco, la testa bionda e la fresca consapevolezza della propria bellezza. Gladys può avere qualunque uomo desideri: il suo dono e la sua condanna. Gli anni passano ma i lineamenti della protagonista sembrano non curarsi dei giorni che scorrono, di fronte alle amiche Gladys è sempre un passo avanti. Lei è quella da imitare, da non far arrabbiare… lei ha tutto ciò che desidera, tranne la pace. Tormentata dal pensiero della vecchiaia (che per ora non si mostra e forse proprio per questo viene così temuta), Gladys – nel frattempo rimasta vedova – finisce per credere che sua figlia sia poco più di una bambina. Nessuno può sapere quale sia la sua vera età. Finché Marie Thérèse rimarrà una bambina Gladys potrà rimanere una trentenne…
Com’era felice… O piuttosto no, non era ancora la felicità, ma la sua attesa, una divina inquietudine, una sete ardente che le attanagliava il cuore.
Solo il giorno prima era una ragazzina triste e debole accanto a una madre che detestava. Ed ecco che ora si palesava donna, bella, ammirata, presto amata… Pensava: “amata…” e subito provava una profonda inquietudine: si vedeva brutta, malvestita, senza educazione; i suoi gesti diventavano bruschi e maldestri: cercava intimorita con gli occhi sua cugina, Teresa Beauchamp, seduta fra le madri. Ma la danza, a poco a poco, la stordiva; il sangue le scorreva più vivo e ardente nelle vene; girava la testa, contemplava gli alberi del parco, la notte dolce e umida, illuminata dai fuochi gialli, le colonnette bianche della sala da ballo, aggraziate e slanciate come ragazzine. Tutto la incantava; tutto le sembrava bello, raro e affascinante; la vita aveva un sapore nuovo, aspro e dolce al tempo stesso, mai assaggiato.
Le pagine di Jezabel scorrono e noi non ci mettiamo molto a capire che in realtà Gladys non è una brava persona, ma non per i motivi che crede la giuria. Non condanniamo questa donna, già imprigionata dalla sciocca vanità, per il crimine commesso, bensì per l’egoismo che la contraddistingue durante ogni scelta della vita.
Jezabel non è un giallo e ben prima della fine del libro capiamo i motivi che hanno spinto la protagonista ad uccidere il ventenne, eppure questo non toglie nulla alla lettura. Ogni riga è un piacere, la prima parte fredda, quasi ostile, si trasforma in un resoconto carico di emozione ma con una punta di disprezzo. Galdys è sciocca e volubile ma al tempo stesso a me ha suscitato compassione. Forse non riesco a capire l’ossessione della vanità, ma conosco molto bene l’angoscia del tempo che scorre.
Vi era in Gladys una tragica impossibilità di soccombere. Gli altri vedevano in lei solo una donna senza età, come tutte quelle che a Parigi hanno superato la quarantina. Sotto le luci, con il suo Mac il lager e i suoi gioielli, appariva bella di una bellezza fragile, inquieta e patetica, e all’alba, sulla soglia del locale, sembrava una vecchia in maschera, come le altre… di tutti i suoi sforzi, di tutte le sue fatiche, di tante lotte, tante angosce e tanti trionfi non restava che la domanda indifferente posta da un giovanotto a un altro mentre metteva in moto l’automobile: “Gladys Eysenach?… È ancora bella… Dici che ci sta?”.
Condannata ad impersonare un personaggio che non è mai stata, vive con le sue bugie, l’angoscia e infine l’ impossibilità di essere felice. Ha sempre cercato l’amore, ma forse non l’ha mai trovato.
Jezabel è…
Un libro che mette in luce l’egoismo, la frivolezza, la mancanza di un rapporto madre e figlia. Molto triste pensare che alcuni, se non parecchi, elementi siano autobiografici. Gladys non è minimamente interessata a costruire un rapporto con la figlia, a cui rovina la vita. La ama come una bambina può amare una bambola, la usa per mettere in luce i propri pregi. Jezabel, come viene ribattezzata la protagonista, è spietata eppure ho provato molta compassione per lei, a volte le prigioni sono fatte di sbarre costruite proprio da noi stessi.
Consigliato per gli amanti dei romanzi introspettivi, per chi ha bisogno di evadere per qualche ora, per chi nei romanzi non cerca il lieto fine ma la verità che per quanto brutta sia, è migliore delle bugie.
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