Ritorno a Birkenau
La trama
Ginette Kolinka ha diciannove anni quando, insieme al padre, al fratello minore e al nipote, viene deportata a Birkenau. Sarà l'unica della famiglia a tornare, dopo aver attraversato l'orrore del campo di sterminio. La fame, la violenza, l'odio, la brutalità, la morte sempre presente, l'assurdità e la disumanizzazione: con semplicità, schiettezza e una forza straordinaria oggi Ginette ci narra l'inenarrabile. Per mezzo secolo ha tenuto per sé i propri tremendi ricordi, poi, a partire dagli anni Duemila, sempre più forte si è fatta l'esigenza di tramandare alle giovani generazioni ciò che è stato: da allora Ginette visita le scuole e accompagna i ragazzi ad Auschwitz-Birkenau, trasmettendo la propria testimonianza.
– Memoria –
Ritorno a Birkenau di Ginette Kolinka (Ponte alle Grazie) è un racconto delicato e impressionante. Ginette Kolinka è sopravvissuta ai campi di sterminio. Aveva diciannove anni quando ha messo piede a Birkenau e l’orrore di quei giorni è rimasto un capitolo chiuso per lei, per almeno cinquant’anni.
Tutto è cambiato quando Steven Spielberg, dopo l’uscita del film Schindler’s List, ha dato vita a una fondazione per raccogliere le testimonianze dei deportati. Come? Mandando dei giovani di buona volontà in giro per il mondo ad ascoltare chi ha vissuto l’orrore in prima persona.
Ritorno a Birkenau scritto con Marion Ruggeri, ha un linguaggio semplice e diretto. Ginette accompagna le scolaresche durante le visite al campo e li aiuta a visualizzare l’aspetto dell’epoca. Quando li accompagna nella stanza in cui si cucinava e si facevano i bisogni, Ginette offre la possibilità di capire. Capire che nemmeno i bisogni corporei potevano essere espletati quando volevano i prigionieri.
Non sono mai stata in nessuno degli ex campi di concentramento e devo dire che Ginette descrive bene l’aria che si respira a Birkenau. Un campo decisamente diverso da quello di Auschwitz che la nostra protagonista descrive come una sorta di museo voyeuristico in cui è possibile vedere vestiti, capelli, bagagli… a Birkenau è diverso. Lì è ancora più necessaria la presenza di chi ha messo piede all’inferno perché altrimenti anche la stanza dei bisogni sembrerebbe soltanto uno stanzone spoglio e carico di oscuri ricordi.
Mi ha colpito molto il tono dolce, semplice di Ginette. Le scolaresche le fanno molte domande e quasi nessuna riguarda la fame. Un pensiero fisso all’interno del campo.
Appena arrivata una donna mi prende il polso, sono nuda come un verme. Mi tatua: matricola 78599. Pare che ci sia chi urla di dolore, di sorpresa, di spavento. Io non so nemmeno se fa male per come è forte e cocente in me la vergogna di essere nuda. Non percepisco nient’altro.
In Ritorno a Birkenau c’è sofferenza, rimorso per aver lasciato andare i propri cari sul camion credendo che si riposassero e non che morissero per primi, c’è il desiderio di andare avanti senza dimenticare, c’è la volontà di ricordare che la Soluzione finale è stata realmente attuata. Ma è anche un appassionato racconto di sensazioni, a volte contrastanti, suscitate dal ritorno a Birkenau.
Non bisogna tornare a Birkenau in primavera. Quando i bambini giocano sugli scivoli, nei giardini delle casette che costeggiano le rotaie in disuso che portavano al campo e alla sua funesta fermata d’arrivo, la Judenrampe.
Quando si apre il libro Ginette pensa che l’atmosfera sia bellissima. Come può pensare una cosa simile? Ed ecco che così viene sottolineata per la prima volta nel volume, l’importanza della testimonianza. E’ Ginette a dare forma e senso a ciò che vedono gli alunni: uno splendido paesaggio macchiato dalla morte. Ma quella non si vede più.
La sporcizia, le violenze, le notti trascorse nascondendo un pezzo di pane, gli occhi delle compagne.E ancora le ossa del bacino sempre più sporgenti, la debolezza, l’umiliante rito della rasatura… In Ritorno a Birkenau si respira anche l’umiltà di Ginette che si descrive come una donna qualsiasi solo perché non ha avuto il coraggio di dividere il cibo o alzare la testa per dire “no”.
Ginette Kolinka è stata costretta a vivere ricordando ogni giorno quell’orrore e io non riesco a immaginare una punizione peggiore per le vittime. Specialmente quando tornano alla ribalta le notizie di negazionismo. Ritorno a Birkenau è un testo di novanta pagine che spiazza, ferisce, commuove.
Ritorno a Birkenau è…
Memoria. Non ci potrebbe essere un’altra parola. Mai come in questo testo si sottolinea l’importanza dei ricordi e della testimonianza stessa. Quello che potremmo registrare noi con i nostri occhi non sarebbe sufficiente, non guarderemo mai le rotaie con lo stesso sguardo della sopravvissuta, non riusciremo mai ed evocare – altrettanto bene – l’immagine del fumo che impregna l’aria, i respiri delle detenute.
Delle autrici ho apprezzato il linguaggio chiaro e d’impatto. Sembra che Ginette parli con i bambini e questo per me è una scelta vincente. Impossibile non capire, impossibile sottrarsi alle domande sull’odio e impossibile non cercare attinenze con la realtà.
Piccola nota stonata: mi è dispiaciuto che il titolo del libro riportasse il numero sbagliato dell’ex prigioniera. Nelle pagine interne, e purtroppo anche sulla pelle di Ginette Kolinka, c’è scritto 78599, mentre la copertina riporta erroneamente il numero 78699. O almeno così è nella copia che ho acquistato in libreria, ma ho notato che in rete si trova già una nuova edizione, riveduta e corretta.
Consigliato per chi è in cerca di un lettura breve ma intesa, per chi cerca storie di vita vera e per chi non ha nessuna intenzione di voltarsi dall’altra parte. Forse non potremo fare i nostri i ricordi di Ginette ma sicuramente potremo alleviarle un po’ la sua sofferenza dimostrando di averla compresa.
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