Vi ricordate Febbre di Jonathan Bazzi? Fandango continua a raccogliere soddisfazioni. Dopo esser stato eletto libro dell’anno dalla trasmissione Fahrenheit, ha raggiunto un altro grande traguardo, quello della vittoria Premio Bagutta Opera Prima. Sono contenta perché Febbre è un libro coraggioso e il coraggio va premiato.
Le motivazioni del premio Bagutta
«La Rozzano di Jonathan Bazzi è un luogo paradossale, dove si incrociano le tetre meraviglie della modernità con la sopravvivenza di una visione magica e ancestrale del mondo che chi è venuto ad abitarci si è portato dietro. Spesso insieme a una lingua madre che si è anarchicamente mescolata con la parlata locale, generando un crogiuolo di accenti, pronunce, inflessioni, idioletti. Un simile humus, refrattario alle norme e del quale la sregolatezza urbanistica è uno specchio tetro ma terribile, non può che generare figure strane o proprio stralunate, cresciute dove anche i minimi statuti etici appaiono distorti come una zona franca o autogestita.
Bazzi queste cose le conosce bene, le ha vissute, ascoltate al punto da guardarle con un occhio che ha perso tutte le curiosità del novizio e può mantenerle a debita e oggettiva distanza. E le descrive e le racconta con una sintassi dove si passa dal periodo ricco di subordinate all’improvvisa, inattesa, secca frase nominale. Una prosa nervosa e notevolmente controllata, la sua, che sfiorando l’impersonalità dell’osservatore lucido e impartecipe riesce a sviscerare una sequela di dettagli paradossali o aberranti, fino a farsi ironia. Una prosa che sta lontana dalla visione enfatica o commossa.
Eppure in questa Rozzano che produce anche mostri, il protagonista si trova a vivere un dramma di non poco conto, che diventa, pagina dopo pagina, un dramma emblematico, collettivo. E allora l’io narrante si rivela essere qualcosa di più che il perno di un romanzo, e si trasforma gradualmente in quello di un personaggio-simbolo, di una figura che ne rappresenta altri, che forse parla a nomi di altri, e che offre loro una voce. A quel punto la felice vis narrativa di Bazzi scopre le sue radici profonde, le sue origini, la sua necessità vitale, che vengono da un’alta tensione morale, dalla volontà etica di testimoniare un pezzo di condizione umana raccontando con talento una storia».
Febbre
La trama
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un'infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all'ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell'HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l'autore ci accompagna indietro nel tempo, all'origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano - o Rozzangeles il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso.
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