Acido solforico
La trama
Questa volta l'acume sulfureo di Amélie Nothomb si misura con il mondo dei mass media. Una troupe televisiva fa una retata nelle strade di Parigi per reclutare concorrenti, scelti a caso tra la popolazione, che partecipino all'ultimo reality show dal titolo Concentramento. I selezionati vengono caricati su vagoni piombati e internati in un campo dove altri concorrenti recitano il ruolo di kapò. La trasmissione ricrea un passato orribile della storia dell'umanità: sotto l'occhio vigile delle telecamere i prigionieri vengono picchiati e umiliati in ogni modo; il momento più atteso arriva quando, ogni settimana, i telespettatori decidono l'eliminazione-esecuzione di uno di loro dallo show con il televoto. L'ultimo libro di un'autrice da sempre al centro di polemiche, un romanzo che sta dividendo critica e pubblico, forse con meno leggerezza ironica e più disgusto per una società in cui la sofferenza diventa spettacolo.
– Provocazione –
Acido solforico di Amélie Nothomb (Voland) è l’inquietante ritratto della nostra società, o almeno di un suo eccesso. Fino a che punto possiamo spingerci per soddisfare le nostre pulsioni? Quanto in basso può arrivare l’animo umano pur di placare la propria fame?
Nothomb ci mostra, con la sua sottile ironia, che cosa rischiamo di diventare, ma al tempo stesso ci ricorda il valore di noi stessi, quel valore che nessuno potrà mai toglierci.
Siamo a Parigi e una troupe televisiva sta reclutando persone affinché prendano parte a un nuovo reality show: Concentramento. Il titolo spiega già tutto: i concorrenti vengono disumanizzati e vivono come ai tempi dei nazisti. Non mangiano quasi nulla e quando dimagriscono troppo sono pronti per andare a morire, perché quella nel campo è vita?
Dall’altra parte però ci sono altre vittime e sono i kapò: sono completamente alla mercé del pubblico, Zdena in particolare. Picchiano, insultano e fanno di tutto per farsi amare da quel pubblico che non ha volto. Anche loro sono prigionieri: impossibile aiutare i carcerati, impossibile scegliere di smettere. O kapò o prigioniero e tutto avviene sotto lo sguardo vigile delle telecamere.
Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo.
Le pagine si susseguono velocissimamente e noi ci chiediamo, insieme a i prigionieri del campo, dove siano i colpevoli. Sono i kapò che alzano le mani? Gli organizzatori che hanno dato vita a quest’ultima follia chiamata reality? Oppure la colpa è dei telespettatori? Sono loro che passivamente guardano, approvano e si rendono complici di un crimine contro l’umanità: siamo noi, che non abbiamo più empatia verso gli altri esseri umani. Potrebbero essere gli ebrei sterminati, le donne picchiate, le famiglie sui barconi respinte… dov’è la nostra empatia? Perché nessuno riesce ad alzare la mano e fermare tutto questo?
I personaggi non hanno nomi, sono solo numeri e sigle, sono costretti a bisbigliare o a parlare pochissimo. Sanno che le telecamere li osservano, ma al tempo stesso riescono a dimenticarsene.
Ci sarà un’eroina che scalderà i nostri cuori e al tempo stesso ci farà sentire un po’ più orribili. Pannonique capisce l’importanza di rimanere umani in un contesto in cui di umano non c’ è più nulla. Avete mai pensato all’importanza del proprio nome? Pannonique ci indica una via, tortuosa, ma che possiamo e dobbiamo percorrere.
Ecco come siete – dichiarò Pannonique. – Sempre a trovare mille deroghe, mille indulgenze, mille scuse e mille circostanze attenuanti là dove bisogna essere duri e saldi. Durante l’ultima guerra, chi aveva scelto la resistenza sapeva che sarebbe stato difficile, quasi impossibile. E tuttavia non hanno avuto esitazioni, non hanno perso tempo a tergiversare: hanno resistito per l’unica ragione che non c’era altro da fare.
La svolta, e qui devo fermarmi per non svelare troppo, avviene quando tocca al pubblico – tramite televoto – scegliere chi mandare a morire. L’audience è un animale che va sfamato continuamente, deve crescere ancora e ancora, in barba a qualunque regola morale. Gli intellettuali tuonano dalle colonne dei giornali, si indignano ma ne parlano e questo basta a far tenere i televisori accesi. I governi tacciono, il popolo guarda e vota.
Il lettore di Acido Solforico, alla fine del libro capirete il perché del titolo, si indigna, storce il naso…e perché no, rimane anche scioccato: la più grande tragedia dell’umanità viene rimessa in scena e tutti diventano complici. Il lettore adatto, dopo tutte quelle sensazioni, proverà anche uno strano malessere: ” Che cosa siamo diventati? Quante volte sono stata in silenzio di fronte a un’ingiustizia? Quante volte ho girato la testa? Quante volte ho dimenticato il valore della parola empatia?”. E voi, che lettori sarete?
Acido solforico è…
Una provocazione di Nothomb perfettamente riuscita. Il suo disgusto per la parte marcia della società, per la spettacolarizzazione ad ogni costo, ma al tempo stesso anche la speranza di un riscatto affidata a un’eroina senza nome, rende il libro tragicamente vero. Un eccesso è vero, una provocazione (senza l’accezione negativa che siamo abituati ad affibbiare alla parola) che porta con sé una riflessione più profonda.
L’umanità starebbe in silenzio di fronte a un massacro del genere? Io non so rispondere, ma il dubbio che possano ripetersi fatti atroci e di portata inimmaginabile con la complicità di chi è assuefatto da mass media e social l’ha insinuato. Penso ai video pornografici che coinvolgono ragazzini e persone adulte, penso alle immagini di bulli che picchiano i compagni di classe, ai gruppi facebook nati per ferire e per guardare chi viene ferito… e mi chiedo: Acido solforico è un’invenzione così lontana dalla realtà?
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