Almarina
La trama
Può una prigione rendere libero chi vi entra? Elisabetta insegna matematica nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina la sbarra si alza, la borsa finisce in un armadietto chiuso a chiave insieme a tutti i pensieri e inizia un tempo sospeso, un'isola nell'isola dove le colpe possono finalmente sciogliersi e sparire. Almarina è un'allieva nuova, ce la mette tutta ma i conti non le tornano: in quell'aula, se alzi gli occhi vedi l'orizzonte ma dalla porta non ti lasciano uscire. La libertà di due solitudini raccontata da una voce calda, intima, politica, capace di schiudere la testa e il cuore.
Esiste un'isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull'acqua, ed è lí che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant'anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l'altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze». Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d'amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare. «Vederli andare via è la cosa piú difficile, perché: dove andranno. Sono ancora cosí piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui».
– Amore –
Almarina di Valeria Parrella (Einaudi) è una storia sussurrata ma potente. Non avevo mai letto nulla di questa autrice e lo stile così particolare mi ha decisamente colpito, molto più della storia.
La trama all’apparenza è molto semplice ma nasconde numerosi spunti di riflessione sulla società odierna, sui sentimenti, sulle scelte… ma andiamo con ordine. La nostra protagonista è la prof. Elisabetta. Insegna matematica e lo fa nel carcere minorile di Nisida e inutile dire che il suo ruolo è molto particolare. Difficile trovare un equilibrio di fronte a quei ragazzi.
Elisabetta è una donna di contrasti: entra da libera in un posto in cui la libertà non esiste. A volte si fa chiamare maestra, prof, dottoressa… come capita dai ragazzi. Chi lo sa, forse lotta anche per non affezionarsi a quei ragazzi giudicati deliquenti che si muovono in una cornice fatta (ancora) di contrasti. Rinchiusi in un posto che potremmo definire paradiso: di fronte a Capri.
La nostra prof. è rimasta vedova, quando suo marito è morto lei aveva messo telefono ed effetti personali nell’armadietto, come da procedura, così non sono riusciti a contattarla in tempo.
Mi danno una chiave che corrisponde a un piccolo armadietto. Della mia borsa faccio un sacco, l’ammacco, la schiaccio, ce la faccio entrare, do la mandata e vado. Dentro ci lascio la solitudine della figlia unica, l’orecchio dolente di una malattia esantematica, l’ombra che mi terrorizzava al pomeriggio, proiettata sul muro della stanzetta. Quella risposta inopportuna per cui mia madre non mi parlò per giorni. Tenersi le mani addosso quando non le vuoi davvero, volere di più le mani addosso e non saperle chiedere. Il primo attacco di panico una notte in albergo a Parigi, dopo la maturità. E la vacanza con un uomo più adulto di me, nella quale piansi tutti i giorni.
Eppure stamattina dopo vestita, vinto il freddo della casa, ho nascosto le occhiaie sotto una striscia di correttore, spazzolato i capelli a testa in giù. L’ho fatto per essere scrutata dagli alunni, perché le femmine potessero vedere in me qualcosa che conoscono, che affinano nelle celle. Perché i maschi potessero riconoscere un’immagine di donna che rispettano. Ma poi queste sono idee mie, chissà per dove passa il rispetto: non è di loro che parlo, io di loro non so nulla. Parlo di me. Di come mi faccio forte per non crepare. Quando mi sono guardata allo specchio ho visto una donna stanca. Una vecchia stanca in pieno hangover che non poteva tener su troppo il mascara perché piangere le era più naturale che truccarsi. Una vecchia: così non pensavo di essermi portata dietro tutta quell’infanzia da stipare nell’armadietto.
Parella ha uno stile particolare e coninvolgente. Non ci si può distrarre nemmeno un secondo perché ogni frase rimanda a un pensiero, a un evento passato, a un’azione. E Almarina è narrato tutto in questa maniera: intima. Siamo nella testa della professoressa che all’inizio ci sembra così grigia, triste… soltanto dopo qualche pagina scopriamo così tanto di lei. La passione per la matematica, l’amore per Antonio e il desiderio di un figlio che non è mai arrivato. E ancora, ripercorriamo il calvario delle adozioni mancate e il dolore per ogni volta in cui la coppia è tornata a casa senza bambini.
Ma in questo buio si insinua una crepa chiamata Almarina e come tutte le ferite oltre alla sofferenza riesce a portare la luce.
Devo sedermi di fronte a lei e aspettare finché quella mano tracci una riga sul foglio (…) Dentro il foglio c’è dunque questo uomo che la violenta e poi le rompe le costole, suo padre. E un fratello. Un fratello che aveva sei anni quando lei l’ha portato con sé in Italia.
Inizia così il rapporto tra queste due donne diverse per età, esperienze di vita e nazionalità, ma unite da un’esperienza dolorosa. Il rapporto tra Almarina e la prof. cresce e risponde soltanto alle leggi dell’amore. Parrella però, sul piatto mette anche l’ingiustizia sociale e lo fa con rabbia e chiarezza:
Penso che sono preda dei furbi. Preda dei violenti, di chi è forte ma non di chi ragiona. Penso che pensano che l’unica emancipazione possibile dalla merda che li attornia sia avere soldi, e penso che alcuni non si accorgono nemmeno di stare nella merda. Penso che il Paese ne è pieno, ma penso pure che è colpa mia. Mia nel senso nostra, di noi.
Almarina è…
Amore. L’amore materno, quello per i ragazzi che hanno sbagfliato, persino quello per la matematica. La voce di Parrella è calda e ruvida allo stesso tempo. Arrivati alla fine (ci si arriva decisamente troppo in fretta , le pagine sono davvero poche) si ha l’impressione di aver lasciato qualcuno che si conosce molto bene. Però sul tavolo ci sono tanti temi che non vengono esplorati abbastanza. La maternità negata, la violenza, l’aborto, la separazione familiare, il lutto, sono tutti argomenti che vengono sfiorati ma non ci si tuffa davvero ed è un peccato. Immagino che sia stata una scelta ma io avrei preferito un romanzo più lungo e più particorelggiato.
Almarina è una storia adatta a chi non ha paura di entrare in un carcere, a chi non si nasconde di fronte alle brutture della vita ma le affronta e ha il coraggio di rialzarsi.
1 COMMENTO
Claudia
4 anni faBellissimo libro.Per me il migliore della selezione..In poche pagine ci fa entrare nella vita della protagonista senza soffermarsi sui particolari inutili cioe toccando solo di sfuggita molti temi utili alla comprensione della psicologia di Elisabetta.Un romanzo pieno di umanità in una Napoli che appare sotto una luce nuova nella letteratura recente.Ci voleva una donna per offrirci un racconto che lascia il posto alla sensibilità oltre alla denuncia.Un messaggio di speranza in un mondo tutt’altro che rosa!