Calafiore
La trama
Calafiore è un archivista bancario quarantanovenne. Obeso dai tempi dell'università e insoddisfatto del suo lavoro, trascorre l'esistenza accettando passivamente gli eventi finché un giorno, da vittima predestinata, perde tutto: la sua compagna, la figlia, la casa, il lavoro. Quello che dava un senso alla sua vita. E così si abbandona ossessivamente a ciò che gli rimane, un'incontenibile fame. La sua, poi, non è neanche fame: è un atroce desiderio di sapore, manifestazione primaria della sua totale incapacità di saziare altri vuoti, ben diversi da quelli gastrici. 'Mangia per non essere mangiato' dunque, un mantra condiviso anche da Marta e Federico, fidanzati poco più che ventenni, diventati cannibali quasi per caso e, da quel momento, socialmente impegnati a scalare la piramide alimentare per rovesciarne il sistema di potere. L'ambizioso progetto però è destinato a vacillare quando Calafiore, rapito dai due ragazzi, decide coraggiosamente di raccontare la sua storia appena prima che questi comincino a banchettare con il suo adipe. In una sequela di episodi esilaranti e di patetici tentativi di dimagrire, il tragico si fonde con il comico, il pulp fa la sua parte, e tutto l'insieme invita a riflettere sul nostro difficile rapporto con il cibo in una parodia più che verosimile del gigantesco ingranaggio finanziario che trasforma, a loro volta, i consumatori in un enorme pasto.
– Parodia –
Chi è Calafiore? Un Fantozzi dei tempi moderni. Calafiore è come il vecchio ragioniere: “Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande “perditore” di tutti i tempi”. Belluardo ci presenta un uomo di mezza età con evidenti disturbi alimentari. Questo obeso bancario trascorre le giornate rinchiuso in archivio e mangia. Calafiore, solo sua mamma lo chiamava Pino, non ha fame per il semplice fatto che il suo è un disturbo compulsivo. Non mangia perché sente lo stimolo, mangia perché è l’unica cosa che è in grado di fare. Questo protagonista non potrebbe essere più lontano da noi. Chi vorrebbe identificarsi con un ignavo? Chi troverebbe affinità con un uomo grasso, sgraziato, infelice e costretto sempre a subire? Eppure Calafiore ha qualcosa di noi: i vuoti da riempire.
Il quadro nel quale si muove il nostro Fantozzi è riconoscibile a prima vista: è il nostro mondo. Impossibile accendere la TV e non trovarsi di fronte a programmi di cucina, o di fronte a esperti dietologi. La schizofrenia corre su web e televisioni. Calafiore ha una passione per il cibo è vero, ma ce l’ha anche per Bea… convinta salutista con un ruolo molto importante nella politica italiana, ma questa è un’altra storia.
Il cibo non è solo cibo, è qualcosa che consola, che fa dimenticare e soprattutto è qualcosa da consumare o che forse consuma noi. Non è così netto il rapporto tra chi divora chi a un certo punto. E’ chiaro, Calafiore siamo noi: posseduti da oggetti che crediamo di volere, comandare, poter assimilare.
Sulla scena si affacceranno personaggi strambi che ci aiuteranno a tracciare un quadro divertente e amaro allo stesso tempo. Il cugino Mauro è anoressico, i colleghi sono feroci, la segretaria non è soltanto repellente ma anche disgraziata mentre Calafiore sopravvive, non si sa come ma ce la fa. Fino a quando non perde compagna e figlia. Lì si sgretola tutto. L’inizio della fine.
L’omone viene rapito da Federico e Marta due angeli della morte cannibali. Due deviati che hanno scelto di divorarlo in diretta. Ogni scena viene ripresa con il telefonino. Niente può essere dimenticato. Mi filmo dunque sono.
Io il piccolo Pino me lo sono perso per strada, non le trovo più le briciole che aveva seminato come segnale, ho risucchiato via anche quelle, come la proboscide di un formichiere. Voi siete due deficienti, siete due esaltati, cari i miei Fine Young Cannibals: quello che volete aprire in due è solo l’involucro di Calafiore, l’immagine di me. Volete che vi dica come finisce questa storia? Federico e Marta mi ammazzano, mi mangiano e diventano grassissimi pure loro, due bomboloni di strutto, beandosi del loro traguardo finale, della loro apoteosi del cibo, grasso con grasso, vita con vita. Che dite, vi piace questo finale? Io di come la facciamo finita francamente me ne infischio, me ne fotto proprio, visto che non sono Rhett Butler. Al limite sono Oliver Hardy. Ollio, che si inventò il camera look: guardava dritto dentro la cinepresa, rivolto al pubblico, quando Stanlio ne combinava una. E tirava dentro lo spettatore, lo agganciava con gli occhi e lo tirava dalla parte sua. Come adesso io sto guardando te, Federico. Ma non ho bisogno che tu stia dalla mia parte. Piuttosto, avrei voglia di mangiare qualcosa.
Riuscirà Pino a salvarsi? Quando arriverete alla fine di questa storia probabilmente vi starete ancora interrogando su questo punto. Belluardo gioca con le parole per tutto il libro e il finale può essere preso in maniera letterale oppure no. Ci ritroviamo di fronte al dilemma iniziale… mangiamo o veniamo mangiati?
Calafiore è…
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Sono arrivata a metà di questo libro divorandolo. Poi mi sono un po’ arenata. Ho fatto fatica a seguire la storia di Marta e Federico, i dettagli sul come e perché sono diventati cannibali per me sono stati troppi e avrei sorvolato o comunque accorciato un pochino. Detto questo, la lettura è scorrevole e divertente. Non mancano certo gli spunti di riflessione e le inquietanti risposte.
Consigliato per chi ha voglia di una lettura originale, divertente e anche riflessiva. Non vi annoierete durante la storia. Anzi, vorrete sapere di più e le pagine scorreranno senza intoppi (o quasi) fino alla fine.
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