Il viaggio del divano letto
La trama
Alla morte della madre, che non l’aveva mai davvero amata, riceve in eredità un divano letto particolarmente brutto. Incarica quindi i due figli e la nuora di trasportare la reliquia dalla banlieue parigina fino alla casa di famiglia, in Alvernia – nel cuore del Massiccio Centrale. Durante questa traversata della Francia in furgone, i tre accompagnatori si scambiano ricordi mentre altri oggetti, non meno ridicoli e ingombranti del divano, finiscono per occupare un posto determinante. Tramite la storia del divano e di questi oggetti è tutta la storia della famiglia a essere raccontata, così come la relazione stretta e conflittuale tra i due fratelli. Ruotando attorno alla figura della madre, prende corpo una narrazione giubilante, ora esilarante ora feroce nella descrizione di certe nevrosi familiari, colma di ruvida tenerezza, di comica collera, d’irridente erudizione
Domani sarà la giornata internazionale del libro e io ho deciso di celebrarla in anticipo parlandovi di un autore che mi sta a cuore. Un autore che in pochissimo tempo è passato da essere uno sconosciuto (per me) a guadagnarsi un posto vicino agli scrittori della vita. Ovviamente sto parlando di Pierre Jourde e del romanzo Il viaggio del divano letto che uscirà il 3 maggio per Prehistorica editore.
Anche per questo romanzo (come ho fatto per altri mostri sacri della letteratura) ho scelto una recensione un po’ diversa sperando di riuscire a convincervi a partire proprio da Il viaggio del divano letto per conoscere Jourde. E come fanno gli “influencer” che tanto vanno di moda adesso, prendo in prestito frasi fatte come: “assolutamente da leggere” e mi rivolgo a te lettore.
Scherzi a parte, ecco i cinque motivi ma in realtà ve ne dovrebbe bastare uno: Pierre Jourde scrive Letteratura.
1. Non hai mai letto una saga familiare così
Una saga familiare così non l’hai mai letta. Il viaggio del divano letto è un vero e proprio viaggio, come in Paese perduto del resto, nel tempo e nello spazio. Il viaggio in Alvernia con il fratello e la moglie diventa l’occasione per ripercorrere aneddoti talvolta scabrosi, divertenti e per indagare i legami familiari.
La nonna materna non era simpatica a nessuno, avara come solo alcuni contadini vissuti nelle restrizioni sanno essere, non aveva un gran rapporto né con la figlia, né con i nipoti. Ma portare quel divano in Alvernia significa esaudire il desiderio della mamma e non voglio sottrarsi.
Quando Il viaggio del divano letto si apre le atmosfere sono cupe. Pierre è un bambino irrequieto e lo scorrere del tempo a casa dei nonni non segue le regole tradizionali: i quadri inquietanti, gli oggetti dotati di vita propria e quella sensazione costante di inquietudine.
È stato forse a casa della nonna che ho cominciato a sviluppare una certa diffidenza nei confronti degli oggetti. Degli oggetti in generale. Mi sembravano troppo silenziosi per essere completamente onesti. Si chiudevano in loro stessi, in un triste mutismo che non mi diceva niente di valido. Doveva per forza nascondere qualcosa. Gli oggetti erano completamente pieni di sé, dentro di loro non avevano che loro stessi, al contrario degli esseri viventi, che si nutrono, che evolvono, che creano, che sono sempre per cosi dire accanto a se stessi. Eppure gli oggetti davano l’impressione di avere una specie d’inaccessibile interiorità. Come tante altre persone, mi capitava di immaginare che una volta girate le spalle, questi lasciassero cadere la maschera, e diventassero finalmente ciò che erano davvero, e che io non potevo vedere. Forse se mi fossi voltato velocemente sarei riuscito a sor-prenderli. Ma non ci ero mai riuscito. Li sospettavo di complottare contro di me. Quell’ipotesi era corroborata dalla loro costante malafede. Con un’ostinazione subdola, si sbeccavano, cadevano, rifiutavano di aprirsi, di chiudersi, si rompe-vano, rotolavano negli angoli in cui stai sicuro che non saresti mai più riuscito ad arrivare, mi urtavano, sparivano misteriosamente e per sempre.
E come nella tradizione di una certa grande letteratura, gi oggetti non sono mai solo oggetti. E i viaggi non sono solo spostamenti. La strada percorsa è la stessa che aveva seguito la bara del papà di Jourde per il suo ultimo viaggio: la sepoltura. E qui il sorriso si smorza per lasciare posto a un’atmosfera più malinconica…ma tranquilli, si torna subito a ridere con gli aneddoti sui vicini… e così fino alla fine. Verso un epilogo spietato per il divano, triste per la famiglia ma è così alla fine “tutti finiamo al cimitero”.
2.Vorresti non finisse mai
La frase “avrei voluto non finisse mai” è abusata lo so ma per Il viaggio del divano letto è proprio così. La forma a racconti è perfetta per chi ha poco tempo e quindi può leggersi un solo capitolo ogni tanto o per chi invece non riesce a staccarsi perché uno tira l’altro. I titoli dei capitoli dicono tutto e il tenore è quasi sempre divertente. Jourde, dimostrando ancora una volta grande intelligenza, ride di tutto e di tutti. L’autoironia regna sovrana, lo scrittore racconta episodi della propria famiglia tra un semaforo rosso e un sorpasso, tra le prese in giro e le riflessioni serie del fratello. Impossibile annoiarsi in compagnia de Il viaggio del divano letto. Non mi sono mai annoiata con i romanzi di Jourde (lo sapete) eppure mi ha spiazzato questa versione di lui. Ne Il Tibet in tre semplici passi si ride vero, ma io sono riuscita a trovare una chiave di lettura decisamente più malinconica… qui ci sono episodi divertenti fino alle lacrime. Mi aspettavo uno Jourde denso (e lo è), ruvido e un po’ triste. Invece no. Tutto è pesato, equilibrato ed estremamente piacevole.
Ci sono anche riferimenti arguti e ironici ad altri due autori cari a Prehistorica, Alexandre Vialatte ed Éric Chevillard:
(…) perché il mio fedele lettore non è solo intelligente ed erudito, è una persona solare che ama la vita e l’amore, al contrario del gobbo sornione e perverso che legge Éric Chevillard tra un piacere solitario e l’altro.
3. Non esistono autori in grado di farti ridere e commuovere come Jourde
Come dicevo nella spiegazione del motivo numero 2, non esistono autori in grado di farti ridere e commuovere come Jourde. Autori che rappresentino un doppio così… spiccato. Jourde è lo scrittore pugile, l’autore in grado di paragonare i lillà di Proust all’odore del letame (leggete anche La prima pietra e capirete), l’artista che eleva il basso e lo rende meravigliosamente attraente. Qui l’operazione è diversa ma appunto sempre doppia. Dagli approcci con le ragazze passando per le molestie sul bus, solo per citare uno dei capitoli, il sorriso diventa smorfia e poi ancora l’irriverenza di Jourde strappa un ghigno che si spegnerà poco dopo in un’alternanza perfetta.
Sono riuscito a fare Proust al contrario: invece di farmi accedere alla vera vita, la tazza di tè è riuscita a escludermene. Per quanto ci provi, davvero sarò per sempre il bambino che in classe non osa alzare la mano per chiedere di uscire, che si tortura le viscere tutto il giorno nel terrore che un passaggio al bagno durante la ricreazione si concluda con l’apertura della porta per mano di qualche burlone professionista che urla per la gioia di mostrarmi raggomitolato con la braghe calate a metà della classe, sarò per sempre quel bambino dallo sguardo serio, perso in una profonda introspezione, mentre un piccione gli caga sulla spalla, tutta la dignità sarà in me segretamente corrosa da quel ragazzino dall’intimità sempre minacciata, e questo fino al momento in cui dovrò a mia volta tornare alle umiliazioni dell’infanzia, alle giovani donne che ti puliscono e ti cambiano il pannolone.
4. Il finale
Non è una novità, quando scrivo questo tipo di recensione inserisco sempre tra i motivi il finale. Non è mica facile trovare incipit ed finali all’altezza. E qui, proprio quando le pagine che portano all’epilogo diminuiscono, le atmosfere ridiventano (per me familiari) e sì, riconosco il Jourde di Paese perduto.
Se la fine del divano letto fa ridere, non è altrettanto per il resto ma questo, oltre a far parte della vita, lo scoprirete solo leggendo.
5. Vita e letteratura coincidono
Ci provano tutti ma pochissimi ci riescono. Io so che i lettori si dividono in due categorie: quelli che amano le autobiografie i memoir e quelli che hanno un brivido lungo la schiena quando ci si imbattono. Perché negli ultimi tempi la moda più in voga è quella di trasformare le proprie vicende private, familiari in libri alimentando la curiosità dei lettori che anche quando si trovano di fronte a un romanzo non possono fare a meno di chiedersi: “C’è qualcosa di vero?”. Jourde non forza la mano, prende la sua vita, dura e a volte bizzarra, e la trasforma in un libro di letteratura. Così, all’apparenza senza sforzo. Perché ne Il viaggio del divano letto ci sono riflessioni sui legami familiari, sull’esistenza, sulla letteratura, sulle origini… potrei andare avanti ancora ma credo di aver già scritto troppo.
Come sempre quando si parla di Jourde faccio un po’ di fatica, al di là dei meriti oggettivi della scrittura, a spiegare perché lo amo. Tocca tante corde che sono nascoste e che non farei toccare a nessuno. Ad ogni libro scopro che abbiamo qualcosa in comune, questa volta l’aneddoto riguarda il gatto che chiamò Satana. E proprio mentre scrivo queste righe, Woland – la mia gatta nera – è seduta qui, accanto a me.
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1 COMMENTO
Rossana
7 mesi faHo ordinato il libro di Pierre Jourde. Non mi lascerò scappare questa lettura che, grazie alle tue parole, mi intriga tantissimo. E’ così difficile leggere dei testi che sappiamo destare ilarità e ironia pur essendo densi e seri e opere letterarie vere.
Ti saluto e grazie per le tue splendide recensioni .
Rossana