Compulsion
La trama
Oggi ricostruire fatti di sangue è diventato un intrattenimento di massa - più o meno l'unico, si direbbe. Ma c'è stata un'epoca non lontana, e peraltro abbastanza sanguinaria, in cui l'assassinio gratuito di un ragazzo da parte di due suoi coetanei veniva presentato, sulle prime pagine di tutti i giornali, come «Il delitto del secolo». Accadde a Chicago, negli anni Venti. Due ricchi studenti ebrei, Na-than Leopold e Richard Loeb (che qui si chiamano Judd Steiner e Artie Straus), avevano progettato un delitto perfetto, ma come chiunque indulga a questo genere di fantasticheria finirono per commettere un imprevedibile errore, che li mise rapidamente al centro di un clamoroso processo. Fu un caso che affascinò per decenni i migliori appassionati del crimine, ispirando a Hitchcock “Nodo alla gola”, e a Meyer Levin questa travolgente indagine, che diventa via via una superba costruzione romanzesca, dove, come in un grande film classico, protagonisti e comprimari - avvocati, reporter, psicoanalisti - fanno fino in fondo, come meglio non si potrebbe, la loro parte.
– Avvincente –
Compulsion di Meyer Levin (Adelphi Edizioni) è il racconto fedele (seppur romanzato) di un feroce delitto avvenuto a Chicago durante gli anni Venti. Feroce perché il movimento sembrava, e forse è, un vuoto causato da noia.
Il cadavere di un ragazzo di 14 anni viene ritrovato e una volta identificato cominciano le indagini ma soprattutto le congetture. Un delitto a sfondo sessuale? Una punizione per il padre facoltoso? Macché. Nathan Leopold e Richard Loeb, che nel libro vengono ribattezzati Judd Steiner e Artie Straus, hanno messo in scena il delitto perfetto. Durante una lezione al college l’illuminazione: un superuomo non ammazza per denaro come in Delitto e castigo, un superuomo ammazza per il gusto di farlo, per dimostrare che è al di sopra della legge, costi quel che costi.
Per essere al di sopra e al di là della legge, l’autore del delitto non dev’essere spinto dal bisogno né da altri moventi emotivi tipicamente umani quali la lussuria, l’odio o l’avidità. In tal caso il delitto è puro atto, il gesto di un essere assolutamente libero, di un superuomo.
Sid (Meyer Levin) è un giovane cronista alle primissime armi. Compagno di corso di Judd e Stride diventerà fondamentale in questo caso: sarà lui a riconoscere il corpo della vittima.
Comincia così un’attenzione mediatica senza precedenti: i giornali fanno a gara per accaparrarsi gli scoop e Sid dà un contributo decisivo: verrà risucchiato anche lui nel vortice della caccia all’assassino.
Nonostante Judd e Stride si sentano così intelligenti, la polizia non ci mette molto a capire che sono stati loro a rapire e uccidere il povero XXX.
L’assenza di motivazioni si trasforma in presto in qualcosa d’altro: agghiaccianti confessioni. Ed è qui che la penna di Meyer ci conquista.
Era come se quel giorno il delitto avesse aperto una piccola crepa nella superficie del mondo, attraverso la quale potevano intravedere un male che ancora doveva emergere.
Questa frase ci proietta nella Seconda Guerra Mondiale (il libro è stato scritto negli anni Cinquanta) e ci costringe ancora una volta a fare i conti con i segnali che sono stati lanciati prima dell’orrore chiamato Olocausto e in generale del Male assoluto e del famoso Superuomo.
Levin entra quasi in punta di piedi in questa intricata vicenda e, esattamente come nel caso de La città dei vivi di Nicola Lagioia, la vittima scivola decisamente in secondo piano. Non sappiamo quasi nulla di lui perché tutta la nostra attenzione è catturata dalle due menti malefiche e dalla fredde menti che hanno progettato per un anno il delitto.
Compulsion è diviso in due parti. La prima è senza dubbio la più avvincente. Ci caliamo completamente nella testa dei protagonisti e insieme a Sid cerchiamo di comprendere le menti assassine mentre ricostruiamo spostamenti, sentimenti, dinamica del delitto. La seconda è quella che mi ha impedito di dare cinque stelle al libro: lenta, prolissa… Chiariamo, ho amato Compulsion, scritto dieci anni prima di A sangue freddo che è considerato un capolavoro del genere true crime, ma credo che se fosse stato più corto di 200 pagine (ho acquistato la versione economica) il romanzo sarebbe stato perfetto.
Sì, perché in Compulsion c’è tutto: l’amore, il male, la morte, la Storia. Levin non tralascia nulla e anzi, ci fornisce tutti gli elementi per capire in quale quadro storico va inserita questa storia, ma la parte del processo non mi è andata giù (arringhe degli avvocati escluse), probabilmente perché ci sono “arrivata stanca” dalle pagine precedenti.
Senza paura di svelarvi nulla, perché è già tutto chiaro all’inizio, vi dico che non riusciranno a trovare delle vere risposte alle domande. Chi ha sferrato il colpo fatale? Chi ha insistito di più per portare a termine l’omicidio? Sono interrogativi che moriranno. Capaci di intendere e di volere? Due menti che sono una sola.
Compulsion è…
Avvincente, ricordo di aver divorato immediatamente le prime cento pagine. La fatica è arrivata dopo ma riconosco di aver letto un gran libro. La penna è asciutta ma non distaccata, ricco di dettagli e riflession, Compulsion ci costringe ad entrare nei panni di due assassini e in un certo senso sono quasi riuscita a sentirmi vicina a Judd. Lo so, è terribile scrivere una cosa del genere. Levin è rimasto obiettivo ma non ha mai dimenticato il dolore che provoca un delitto così. Il dolore dei parenti delle vittime, il dolore delle famiglie degli assassini.
Ho fatto fatica a raccontarvi Compulsion perché avrei voluto snocciolare una serie di domande, ma la verità è che ogni lettore compirà un viaggio diverso, traendo forse conclusioni differenti. Gli appassionati di true crime non potranno perdere Compulsion e chi non ama il genere potrebbe innamorarsi, certo, armatevi di pazienza, vi servirà.
Consigliato per chi è in cerca di storie vere, introspettive e forti. Per chi non ha paura di specchiarsi e di vedere, per un fugace istante, un mostro.
1 COMMENTO
Stefano
1 anno faDiciamo che le 200 pagine dell’arringa finale sono un capolavoro nel capolavoro… peccato che Trevisani che non le abbia sapute apprezzare.