Da duemila anni
La trama
Romania, anni Venti. L’antisemitismo è sempre più diffuso e violento. Il protagonista, uno studente ebreo dell’Università di Bucarest, insieme ai colleghi correligionari subisce quotidianamente angherie e soprusi, un martirio che gli altri sposano quasi fosse un processo di redenzione, mentre lui si sente intimamente antisionista eppure incapace di rinnegare la propria religione. Questo insanabile dissidio interiore lo induce al vizio. Il suo tempo trascorre infatti in lunghe passeggiate solitarie e notti alcoliche che spartisce con rivoluzionari, fanatici e libertini. Ed è attraverso il suo vissuto quotidiano e le conversazioni con i suoi compagni di strada – il determinato marxista S.T. Haim, il sionista Sami Winkler o il carismatico professor Ghita Blidaru – che il protagonista ricerca il senso di un mondo che sta cambiando e dell’oscurità che sta scendendo sul suo paese e minaccia di distruggerlo. Uscito per la prima volta nel 1934, il romanzo è una tragica testimonianza dell’ascesa dell’antisemitismo in Europa. Un documento inestimabile e un racconto doloroso su uno dei periodi più feroci della storia europea che, in questi tempi oscuri di irragionevoli spinte nazionalistiche, ci insegna a dare un senso al passato offrendoci un ritratto dei molti volti dell’antisemitismo e provando a dare una risposta all’inevitabilità dell’odio. «La sua prosa potrebbe provenire dalla penna di Čechov: ha la stessa umiltà, lo stesso candore e la stessa sottigliezza nell’osservazione». Arthur Miller «Cattura magistralmente l’atmosfera anteguerra in Romania, la sofisticatezza, la bellezza, l’orrore... Amo il coraggio di Sebastian, la sua leggerezza e il suo umorismo». John Banville «Incredibilmente attinente al nostro tempo, ai nostri luoghi. Non si riesce a fare a meno di pensare che Sebastian ci stia mandando un messaggio attraverso le generazioni». «The New York Times Review of Books» «Pungente, contemplativo, complesso, provocatorio... Oltre a essere un affascinante documento storico, è un romanzo coerente e convincente». «Financial Times»
– Coraggio –
Da duemila anni di Mihail Sebastian (Fazi editore) è una di quelle storie che non si dimenticano. Un racconto delicato e potente, sussurrato ma destinato a rimanere impresso.
Quando ho cominciato a leggere Eugenia di Lionel Duroy, ho incrociato il nome di Mihail Sebastian che mi diceva qualcosa, le note mi hanno levato ogni dubbio: è l’autore di Da duemila anni. Ho deciso così di recuperare un libro che era stato inserito nella mia lista dei desideri più di un anno fa a di mettere in pausa la lettura di Duroy. Una decisione azzeccatissima.
Siamo in Romania durante gli anni Venti, l’antisemitismo è qualcosa di più di un’idea. Una convinzione radicata, giustificata, un atteggiamento di quotidianità. Violenza, verbale e fisica, sono all’ordine del giorno e Sebastian ci offre un punto di osservazione insolito. Studente universitario a Bucarest sopporta botte e dolore ma non condanna l’antisemitismo. In Da duemila anni, che ha la forma di diario (e quindi non si tratta di un vero e proprio romanzo), con elementi chiaramente autobiografici, il nostro protagonista non condanna mai gli aguzzini e anzi, giudica duramente se stesso, capace di adattarsi e addirittura compiacersi del ruolo di vittima.
Vorrei potermi detestare violentemente, senza nessuna scusa, senza comprensione. Vorrei essere antisemita per cinque minuti e sentirmi un nemico che deve essere liquidato.
L’argomento in Romania (e solo lì?) è sempre lo stesso: gli ebrei portano via posti di lavoro, case, ossigeno ai veri cittadini romeni. E non importa che siano nati e cresciuti lì: non avranno mai la nazionalità romena. La decisione di far vivere gli emarginati nei ghetti non ha fatto altro che renderli potenti, una comunità sempre più forte, che studia e che talvolta occupa delle posizioni chiave a livello economico. Ecco che in Da duemila anni vediamo gli albori di quello che si trasformerà in un vero e proprio orrore che sfocerà poi nell’istituzione delle Guardie di ferro, fondate da Codreanu.
Anche le azioni più semplici, se si è ebrei, sono difficili da compiere. La vita persino nelle aule destinate all’istruzione diventa difficile:
A metà lezione, una carta appallottolata finisce sul mio banco, accanto a me. La ignoro, non l’apro. Qualcuno grida il mio nome da dietro. Non mi giro. Il compagno alla mia sinistra mi osserva attentamente, in silenzio. Non riesco a sopportare quello sguardo fisso e alzo gli occhi. “Fuori!”. Proferisce questa parola in modo brusco, tagliente.
Le pagine scorrono alla velocità della luce, almeno per me è stato così, e possiamo vivere sulla nostra pelle il cambiamento, l’evoluzione del personaggio. Se all’inizio lo studente era la classica vittima con la testa bassa e l’enorme forza di volontà che non lo faceva piangere, a poco a poco le cose cambiano per lui e per chi ha intorno. Tra gli appunti presi, il cambio di residenza e un breve ritorno a casa, la vita del nostro studente cambierà radicalmente. Anche se sembra paradossale la violenza rimane quasi sempre sullo sfondo. Ad occupare la scena sono le domande esistenziali, le proprie origini, i cambiamenti politici. La violenza è solo un tramite, serve a far riflettere Sebastian e le persone che ha intorno.
Durante tutta la lettura bisogna tenere a mente che la voce narrante è divisa, alla ricerca di un’identità in cui riconoscersi. Antisionista convinto eppure incapace di rinnegare la propria religione, e quindi la propria appartenenza, Mihail Sebastian da voce a un alterego travagliato che annega i dubbi nel gioco e nell’alcool.
Se non ci fosse il sapore amaro, consolatorio, delle notti di gioco, se non ci fosse la gioia inebriante del poker, cosa ci rimarrebbe?
Qualcos’altro tuttavia ci resta. La voluttà di essere sporchi, il celato orgoglio di lasciarsi andare, di rinunciare oggi a pulirsi il cappello, domani di cambiarsi la camicia, dopodomani di ripararsi i tacchi logori delle scarpe. Sprofondare appieno, definitivamente, nella miseria e amarla per la sua melma, per il suo familiare aroma, per le croste di pane secco, per l’intimo calore dell’umiliazione. E rendersi conto di aver perso completamente le redini della propria vita, di essersele lasciate scappare dalle mani, il mattino in cui rinunci a cambiarti il colletto perché non te ne frega più niente.
Non ci è stato tante volte ripetuto che siamo un popolo sporco?
Ad aiutarlo nella sua ricerca è Ghiță Blidaru, che è senza dubbio il personaggio fondamentale del libro; le sue lezioni, a cui Sebastian non rinuncerebbe per niente al mondo, sono finestre sul pensiero umano. Anche se alla fine Bludaru si rivela – almeno per me – un personaggio egoista e anche un po’ sgradevole, avrei voluto leggere un intero libro su di lui. E’ l’artefice del primo cambiamento del protagonista: la facoltà di architettura è la strada giusta per ricominciare, per crearsi un futuro. E ancora troviamo il progettista geniale e a tratti incompreso Mircea Vieru. Ma ci sono anche il compagno S.T. Haim (i suoi discorsi sono quelli a cui mi sono sentita – inaspettatamente – più vicina) e ancora Sami Winkler e altre comparse, tra cui anche delle donne, che aiutano il lettore e il protagonista a mettere nuovi e a volte inquietanti tasselli.
Non è strano che oggi io sia buon amico degli infelici eroi del mio diario del 1923?
Non potrei dire con esattezza come si sia giunti, alla fine, a queste paci successive che ci hanno spinto gli uni verso gli altri. In ogni caso, il nostro primo anno di università ci aveva scaraventato ai poli opposti, mentre oggi ci ritroviamo tutti insieme. Non è una cosa da poco.
Adesso i tempi sono cambiati, i problemi sono ben altri. La protesta universitaria era molto bella, ma insufficiente. Non si costruisce una vita con così poco. Né la loro, scandita da una “lotta di rivendicazioni”, né la nostra vita, afflitta invece da “drammi interiori”.
La verità svelata da Sebastian è inquietante sotto più punti di vista. Il nazionalismo, che esplode nuovamente in violenza durante la fine del fine del libro, diventa un pensiero condivisibile dal protagonista e comprensibile per il lettore, quando a pronunciare queste parole è il maestro Vieru in persona:
Io non sono antisemita. Te l’ho già detto e lo ribadisco. Ma sono romeno. E, in questa veste, tutto ciò che mi si oppone rappresenta per me un pericolo. C’è uno spirito ebraico irritante da cui devo difendermi. Nella stampa, nella finanza, nell’esercito, dappertutto percepisco la sua oppressione. Se il nostro organismo statale fosse resistente, non mi importerebbe un granché. Ma non lo è. È peccaminoso, corruttibile e debole. Ed è per questo che devo lottare contro gli agenti della decomposizione.
Da duemila anni è…
Un libro coraggioso e ricco di contraddizioni. Il coraggio però è non è quello paragonabile alla sopportazione delle botte, ma è quello delle domande di Mihail Sebastian che si interroga su un popolo e sulla natura umana, sulla condizione di chi vive da esule in patria.
Da duemila anni, pubblicato in Romania nel 1934 ha destato parecchio scalpore, perché non ha accontentato nessuno. La feroce prefazione a cura del mentore e amico Nae Ionescu, ha incendiato i sentimenti antisemiti, causando giudizi discordanti sia da parte della comunità ebraica (per ovvi motivi) e per quella romena.
Non sono riuscita a raccontarvi tutto quello che avrei voluto. Questo è un libro ricchissimo di spunti di riflessione, oltre ad offrirci una lucida fotografia dell’antisemitismo. Il germe dell’odio era diffuso, sembrava innocuo, era normale ghettizzare, picchiare, insultare. L’Europa stava per affacciarsi alla finestra più buia della sua storia. Mihail Sebastian cosa fa? Guarda l’orrore in faccia, guarda se stesso nel profondo.
Per quale motivo leggerlo? Per non scappare da ciò che siamo stati, per non fuggire da un passato che non sembra tale.
Fuggire da se stessi un giorno, due, venti, non è facile, ma nemmeno impossibile. Ti dedichi alla matematica e al marxismo, ti fai sionista, leggi libri, vai dietro alla donne. Oppure giochi a scacchi, o sbatti la testa contro il muro. Sennonché un bel giorno, in un momento di disattenzione, ti incontri con te stesso in un angolo del tuo cuore, come se ti incontrassi all’angolo di una strada con un creditore al quale hai cercato invano di sfuggire. Incroci il tuo sguardo e comprendi, allora, quanto siano stati vani i tuoi tentativi di evasione da questa prigione senza mura, senza cancelli e senza grate; da questa prigione che è la tua vita. Alla fine si ritorna tutti irrevocabilmente alla tristezza, come se si tornasse alla vita.
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