Fino all'alba
La trama
È sera. Una donna esce di casa e si chiude la porta alle spalle. Fa una passeggiata di pochi minuti, poi affretta il passo, irrequieta. Torna indietro. Sale di corsa le scale, riapre la porta: il bambino dorme ancora, non si è accorto di niente. La donna sa che lasciare il figlio di due anni da solo è pericoloso, ma durante le brevi fughe notturne le sembra finalmente di respirare: può dimenticare di essere una madre single, con un lavoro precario, senza aiuto né compagnia in una città nuova e impietosa. Per inseguire quella libertà clandestina allora ogni volta osa di piú. Ma quanto lontano può spingersi, fino a quando può scherzare con il fuoco?
«Vicino, vicino». Lei tenta di ignorare quella voce flebile che la implora dall'altra stanza, ma sa che non resisterà a lungo. Si alzerà nel cuore della notte per andare dal suo bambino di due anni. Per prendergli la mano, rassicurarlo: la mamma è qui, dove vuoi che vada? Preferisce non immaginare cosa succederebbe se il bambino si svegliasse durante le sue uscite notturne. A volte, infatti, le capita di fare due passi intorno all'isolato, qualche minuto, per prendere un po' d'aria. Non è una madre irresponsabile e sa che lasciarlo da solo è rischioso, ma a volte sente il bisogno di allontanarsi da quel nido soffocante, da quell'appartamento che è rifugio e prigione al tempo stesso. Perché da quando è nato il bambino, vive con lui in una simbiosi totale: il suo compagno l'ha abbandonata, in città non ha famiglia né amici, non può permettersi la retta dell'asilo o di pagare una baby-sitter e non riesce a dedicare il tempo necessario al suo lavoro, già precario, di grafica freelance. E il mondo sembra accanirsi contro di lei: la burocrazia è un rebus irrisolvibile che l'affligge, i vicini le lanciano sguardi di biasimo - «è la madre sola del sesto» -, una svista le è valsa l'ostilità dei genitori al parco - il piccolo è caduto dallo scivolo, succede quando le madri sono «tutte prese dal loro smartphone» -, impiegati di banca e ufficiali giudiziari fanno a gara per ricordarle che sta esaurendo le risorse. In cerca di confronto - e conforto -, la protagonista ricorre a internet, legge sui forum le opinioni di altre con una situazione analoga alla sua. Ma anche in rete si imbatte in un muro di ipocrisia e perbenismo. Avvilita, scorre i commenti crudeli di chi si scaglia contro le madri single che non riescono a organizzarsi, che sanno solo piangersi addosso, che alla fine se la sono cercata. Tra senso di colpa e voglia di libertà, la donna continua allora a concedersi quelle evasioni imprudenti. Ma la meta è ogni volta piú lontana, e sempre di piú il tempo che il bambino passa da solo in casa. Fino al giorno in cui è impossibile tornare indietro...
«Questo libro ci tiene in ostaggio. Come la protagonista, restiamo in apnea, desiderosi di uscire, respirare. Ma la bravura di Carole Fives sta nel farci rimanere incollati alle sue pagine implacabili, fino alla fine, fino ad avere l'impressione di leggere di noi stessi».«Le Parisien»
– Prigionia –
Fino all’alba di Carole Fives (Einaudi) è la storia di una mamma in cerca di ossigeno. La nostra protagonista, che rimarrà senza nome per tutto il libro, vive sola con il suo bambino in un appartamento troppo costoso e con un lavoro “troppo” precario. Il compagno l’ha lasciata, forse tornerà o forse no, l’unica certezza è che ha tenuto le chiavi di casa, ma non ha più contribuito alle spese.
La nostra grafica freelance è sola: ha presentato la domanda per l’asilo nido ma è ancora in attesa, il lavoro lo svolge di notte quando il bambino dorme o quando non la chiama dopo gli incubi dicendole: “Vicino, vicino!”.
Non ci sono amiche nella vita di questa mamma, solo consegne da portare a termine, giochi sparsi per la casa, timore di prendere l’influenza e bollette troppo care da pagare. Sulla scena ogni tanto si affaccia il nonno, ma anche qui ad emergere sono solo critiche e distanze sull’educazione del nipote.
Dico anche qui perché la giovane protagonista si ritrova spesso a navigare sui forum di madri che non esiteremmo a definire perfide eppure così reali. Impegnate nella missione di dimostrare che la maternità è un dono e pronte a soffocare (come la società nella quale viviamo) ogni segno di dissenso. Chi mostra le proprie debolezze è condannato all’umiliazione nella pubblica piazza dei social e non solo.
Lei non poteva permettersi nessun errore, nessuno strappo alle regole. Loro due dovevano starsene buoni e zitti, dimostrarsi impeccabili, non offrire alcun pretesto alla società. Rischiavano in ogni momento di essere etichettati come famiglia problematica. Erano fuori norma, erano fragili, erano sospetti.
Non riporterò le citazioni del forum, non voglio rovinarvi la sorpresa. Dirò soltanto che leggendo quei messaggi ci sentiremo sempre più in trappola e avremo come la nostra protagonista, la necessità di uscire e andare a respirare l’aria della notte. Comincia come un gioco, un modo per evadere mentalmente e fisicamente, prima solo pochi minuti poi ore… mentre il bambino dorme con il suo pelouche tranquillo nel letto.
Ci pensa da ore. Ci pensa guardando il bambino che spalma lo yogurt sul tavolo. Ci pensa vedendolo lanciare le macchine contro la porta. Raccogliendo i giocattoli, riempinedo la lavastoviglie, asciugando il pavimento allagato dopo il bagno, ci pensa di continuo.
Stasera uscrà. Questa volta si concederà due ore. Due ore, giusto il tempo di arrivare al fiume. Incrocerà sagome, facce, la crederanno libera. Forse èun uomo la prenderà per una ragazza. In fondo non è poi cambiata molto. Si guarda nello specchio dell’ascensore, la sua faccia è cambiata? Nel buio uno sconosciuto non noterà niente, fare due passi con lei. Si scambieranno qualche parola, sarà piacevole. Per qualche istante potrà essere qualcosa di diverso da una madre. Stronza, zoccola, madre indegna, le tornano in mente le frasi delle mamme dei forum. Vuole solo correre fino al fiume, vuole solo vedere il colore del fiume di notte.
Fino all’alba è…
La storia di una prigionia. La nostra protagonista è prigioniera del precariato, dell’etichetta mamma single, ed è in un certo senso ostaggio della maternità. Non è una squilibrata o una frustrata con atteggiamenti preoccupanti, questa donna senza nome ha soltanto bisogno di una boccata di ossigeno. Vuole riassaporare almeno per qualche minuto la libertà.
Giudicata (anche se non si espone lei in prima persona) da questi terrificanti forum che sembrano nati per soffocare ogni grido di aiuto, è una protagonista sola e incompresa. Prigioniera della solitudine. Intorno a lei nessuno capisce. Questa madre è una prigioniera, soprattutto della società che ci condanna a mostrare quello che non siamo: sempre in grado di gestire tutto con il sorriso sulle labbra. D’altra parte anche la maternità è soltanto l’ennesima incombenza da sbrigare… organizzandosi si può fare tutto, gisuto?
Non ho dato più di tre stelle perché oltre al fatto che il romanzo sia praticamente un racconto lungo, non ho apprezzato particolarmente il finale… la scrittura di Fives mi ha convinto subito. Schietta – non fa sconti a nessuno – scorrevole e coinvolgente ma nel complesso sono rimasta un po’ insoddisfatta perché lasciamo all’improvviso la nostra protagonista, così come l’abbiamo incrociata e io avrei ancora altre domande da porre.
Consigliato per chi è in cerca di storie vere e senza sconti. Io non sono mamma ma ho compreso davvero il disagio della protagonista e tutte le grottesche sfumature della cornice.
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