Foglie d'America
La trama
Thomas Wolfe è uno scrittore straordinario, sì, ma è senza forma. Ripetono meccanici i detrattori. La verità è che T.Wolfe presenta la forma in lotta contro se stessa. Wolfe straripa. Si tuffa avanti. Si irradia. Si catapulta. Come se sapesse che avrebbe vissuto poco, dice William Faulkner. Giusto. Ma lo fa captando, aspirando, centellinando “forme”. Forme sparse per l’America. Sparse è la parola cruciale. Come gli elenchi sventagliati nel territorio frastagliato-scintillante della sua scrittura. Come le foglie sparpagliate sul suolo americano. Queste nove prose intercettano le forme guizzanti nel vento dell’America. Risuonanti. Le foglie che costellano le scene di queste storie sono ora lustrini, ora oggetti di cristalleria, ora depositi di segni. Mentre rende giustizia alle metamorfosi che fibrillano in America, Wolfe canta la perdita della forma nella società e nel destino interiore/esistenza esteriore dei suoi personaggi. Come quell’ora violetta che in T. S. Eliot vede la dattilografa rincasare all’ora del tè, sparecchiare la colazione e tirare fuori i barattoli di cibo in conserva. Figura senza forma, appunto. Gesto privo di moto. E allora un attore che si disorienta e si polverizza nel labirinto dei personaggi shakespeariani che interpreta è come se si congiungesse sotto il cielo d’America con il cittadino qualunque, Green, che in un altro racconto si lancia da un grattacielo spappolandosi la faccia così come si accartoccia il giornale che recava ieri la notizia della sua morte. Wolfe canta con le forme l’ombra che cancella le linee ma che non avrà vittoria finchè la letteratura la sfoglierà.
– Musica –
Foglie d’America di Thomas Wolfe (Corrimano edizioni) è una raccolta di racconti piuttosto breve. Ultimamente mi sono avvicinata molto al genere e così quando mi è stato chiesto se volevo leggere il libro… mi sono buttata. Non avevo mai letto nulla di Wolfe e forse mi aspettavo qualcosa di diverso.
Ve lo dico già, il racconto più bello, secondo me, è Anatomia della solitudine. Quello che mi ha spiazzato di più è stato il primo, L’inverno del nostro scontento.
La grande protagonista di tutta la raccolta è l’America, o meglio, il quadro che ne esce dai personaggi che popolano le pagine. Sono tutte foglie cadute, disegnate e degne di nota.
All’inizio siamo con un attore e lì c’è violenza, passione, maschere e stupore. Un attore è prigioniero di ciò che interpreta e di se stesso. Costretto ad indossare le maschere shakespeariane non trova più la propria identità.
Ne La promessa d’America invece respiriamo speranza. Leggendo Aprile, tardo Aprile invece rimaniamo confusi. Possibile che due amanti riescano ad essere tali usando un linguaggio così… violento? Beh, lo scoprirete.
– Posso nutrire, riempire e quel mare, con tutte le fontane della mia vita, l’insaziabile oceano del tuo caldo desiderio? O, rispondi mi adesso! Posso strappar ti urla devotamente supplichevoli di piena soddisfazione, come ricompensa per la rovina il fallimento? Posso contare su di te per impazzire di vergogna, orrore senso di sconfitta, per nutrire i morti con la vita e la passione di un vivente? Mi pugnalerai nelle viscere della mia vita dentro al verde crudele della Primavera, usando tenere bugie passerai languidamente dal nobile donare agli amplessi tuoi amanti, mi consegnerai ai miei nemici in aprile, mi sconfiggerai con la fierezza il disprezzo e rovinose brame della vecchia, sleale, razza umana.
E ancora scopriamo Green, personaggio che entra ed esce dalla scena quasi subito perché si toglie la vita e finalmente riesce a diventare qualcuno finendo sul giornale. Per emergere dall’anonimato bisogna sparire dalla faccia della terra? E quanto dura quell’attestazione? Il tempo di una giornata, alla sera il giornale sarà già carta straccia.
I racconti di Wolfe sono come una canzone complessa. Ci sono tanti strumenti, diverse intensità e diversi ritmi da coniugare e per quanto sembri impossibile, alla fine, esce un’armonia difficile da dimenticare.
Se Il sole e la pioggia mi ha fatto sorridere ( e anche un po’ innervosire) perché mi ha ricordato i nostri vecchi della campagna, buoni, genuini e anche un po’ buffi, in Anatomia della solitudine ho provato una certa amarezza e a tratti anche un pizzico di euforia. Quel racconto per me vale tutto il libro. L’ho praticamente sottolineato tutto:
Solitudine senza fine, fosca sorella e austera amica, volto immortale dell’oscurità e della notte, al cui fianco metà della mia vita è trascorsa, e con cui dovrò convivere da adesso sino alla mia morte – di cosa devo avere paura sino a quando tu sei con me? (…)
Vieni da me come sempre sei venuta, riportandomi l’antica forza invincibile, la speranza immortale, la gioia trionfale e quella fiducia che prenderà nuovamente d’assalto la terra.
Foglie d’America è…
Musica. Una melodia complessa ed elaborata che traccia l’affresco di un’ America in preda ai cambiamenti sociali e culturali. Sento Wolfe irrequieto, agitato come se fosse alla ricerca di qualcosa… [amazon_link asins=’8899006156′ template=’ProductAdDESTRA’ store=’lalettricecon-21′ marketplace=’IT’ link_id=’7b996eaa-7cc8-4400-969a-c47f82f1f6fe’]Non sono rimasta entusiasta, pensavo che sarei riuscita ad entrare più in sintonia con l’autore ma forse non era il momento giusto o semplicemente il mio genere. I racconti sono nove e apparentemente slegati tra loro, durante la lettura non ho provato empatia per i personaggi rappresentati e ho fatto un po’ fatica a immaginarli. Li ho sentiti distanti. Chi sono io per dare tre stelle a Wolfe? Nessuno… per questo mi limito a dire che probabilmente questa raccolta non ha fatto per me. Mi aspettavo dei racconti meno dinamici, più somiglianti a quello sulla solitudine.
Consigliato per gli amanti dei racconti, per chi ha voglia di scoprire un autore talentuoso e forse poco conosciuto rispetto a tanti altri. Chi ha voglia di raccogliere quelle che sembrano insignificanti foglie per terra per costruire possibilità e storie ha trovato il libro giusto.
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