I racconti della Kolyma
La trama
Racconti spesso molto brevi, dedicati a un qualche "caso" della vita quotidiana nella funesta regione dei lager della Kolyma: un'occasione di abbruttimento, depravazione, assurdità, barbarie, abiezione, pietà, solidarietà, coraggio, lotta per la sopravvivenza, resa, morte; una qualsiasi delle occasioni che hanno segnato il destino di milioni di esseri umani (decine di milioni: non conosceremo mai il loro numero) nella Russia sovietica. Nulla riscatta l'orrore di questo macabro mondo, neanche la natura, che con la sua asprezza sembra allearsi con gli aguzzini per facilitarne il compito, una natura maligna che ruba le ultime briciole di umanità. Eppure a quella natura Salamov sa dare anima in subitanei, velocissimi squarci visionari, e la cosa crudele che circonda i prigionieri prende vita e testimonia di una lotta tra forze primordiali in cui l'uomo è soltanto timida comparsa. Ognuno, dopo aver letto questo libro, sperimenterà la morbosa ossessione del pane che ispira le cronache dei campi di concentramento. Ma si chiederà anche perplesso da dove, da chi venga a Salamov quella tenera ironia che a tratti illumina l'universo torturante che gli diede in sorte la storia. "I racconti della Kolyma" apparvero per la prima volta in volume nel 1978 in Occidente e nel 1992 in Russia.
– Umanità –
I racconti della Kolyma di Varlam Šalamov (Adelphi) è un impegnativo viaggio nell’orrore. E’ la bellezza contaminata dall’inferno. E’ commozione, rabbia, incanto… sconcerto. I racconti della Kolyma è un libro difficile, forse impossibile da raccontare, chiamerò questo scritto “recensione”, ma per ovvi motivi non può esserlo e forse non ho nemmeno tutti gli strumenti per comprenderlo a fondo. Lo dico, e lo dico subito, prima che il professorone di turno commenti che del libro non ho capito nulla. Vi racconto le mie impressioni, cosa ho amato, cosa mi ha colpito e perché e spero che possiate anche voi intraprendere questo viaggio. E’ un consiglio, non un’analisi o una tesi.
Io ci ho messo un paio di settimane, forse qualcosa di più a leggere I racconti della Kolyma. Mi sono ritrovata, immediatamente, con i piedi nella neve, le ossa che non hanno peso, i muscoli tesi per il freddo e gli sforzi. Lo sputo che si gela in volo, il vuoto nella testa, i tavolacci per dormire, il rumore della stufa… l’inizio è scioccante: non hai scelta, proprio come non ce l’avevano i prigionieri. Sei nel libro, che ti piaccia o no, sei all’inferno. Benvenuto nei racconti della Kolyma.
Nemmeno Dante era riuscito a immaginare una crudeltà così nei suoi gironi infernali:
La nostra epoca è riuscita a far dimenticare all’uomo che è un essere umano.
Le storie sono vere e forse per riuscire ad andare avanti nella lettura bisogna dimenticarselo, la riflessione arriverà puntuale, subito dopo. I capitoli sono brevi, asciutti e ricchissimi allo stesso tempo. L’autore ha realmente vissuto sulla propria pelle l’orrore dei gulag e uno degli aspetti che mi ha sconvolto di più è stato il modo di riportare gli episodi realmente accaduti: Šalamov ci trascina negli ospedali, di fronte ai militari, ci scaraventa nella neve, ci fa dormire sui tavolacci… ci conduce per mano nell’orrore e non mostra odio o risentimento. La sua non è una penna rabbiosa ma una lente che ci restituisce un’immagine raccapricciante dell’uomo. Un quadro che vorremmo dimenticare ma che dobbiamo scolpire nella nostra memoria, ad ogni costo.
Ne I racconti della Kolyma emerge un lato dell’umanità disumano.
L’essenziale non è qui, ma nella corruzione della mente e del cuore, quando giorno dopo giorno l’immensa maggioranza delle persone capisce sempre più chiaramente che in fin dei conti si può vivere senza carne, senza zucchero, senza abiti, senza scarpe, ma anche senza onore, senza coscienza, senza amore né senso del dovere. Tutto viene a nudo, e l’ultimo denudamento è tremendo. La mente sconvolta, già attaccata dalla follia, si aggrappa all’idea di “salvare la vita” grazie al geniale sistema di ricompense e sanzioni che le viene proposto. Questo sistema è stato concepito in modo empirico, giacché è impossibile credere all’esistenza di un genio capace di inventarlo da solo e d’un sol colpo.
Sono tanti i volti che ho incontrato e tutti sono stati deformati dalla fatica e dalle angherie. I passi che raccontano dei giochi con i fiammiferi, o con delle carte improvvisate fanno stringere il cuore. Penso alle mogli che mandavano i pacchi ai mariti: contenuto inutile, o quasi. D’altra parte come potevano avere coscienza delle loro condizioni? Inimmaginabili.
Sono tanti gli episodi che mi hanno colpito. Quel tipo di freddo io non l’ho mai provato in vita mia, non ho mai dovuto misurare la temperatura sputando. Non ho mai dormito sui tavolacci, non ho mai avuto pidocchi che correvano su tutta la superficie del mio corpo. Non ho mai avuto quella forza. Il rito del mangiare è descritto nei minimi dettagli. Il cibo viene scomposto con gli occhi, ne sento l’odore, il sapore anche quando si tratta di pochi granelli di zucchero sciolti nell’acqua tiepida. E’ impossibile per noi immaginare la sensazione di fame costante, il piacere masochista di fissare qualcuno che ingurgita cibo, nasconderlo per prolungare il piacere, per darci forza, per superare un altro giorno.
Ore e ore di lavoro interminabile con il silenzio della mente perché il freddo congela tutto, anche i pensieri, forse anche l’anima. Il dolore alle mani, ad ogni parte del corpo. E gli ospedali… credo che rimarranno impresse nella mente le scene dei detenuti che si sporcano le ferite, si strappano la pelle pur di poter rimanere ricoverati. I verdetti dei medici: “Impossibile operare”, morirebbero. Ma oltre alla crudeltà ricorderò molto altro. Non mi lasceranno più le conversazioni dei detenuti, i gesti di solidarietà. Le voci di chi non ce l’ha fatta, di chi si è arreso, di chi invece, piano piano, ha sentito tornare la vita a sé e tutti i sentimenti. Pagine di una bellezza straziante.
La riscoperta dei sentimenti coincide con la riscoperta delle parole e del loro significato, leggete e capirete.
Tra le riflessioni che non scorderò c’è sicuramente quella sul ritorno a casa…
«Sarebbe meglio tornare in prigione. Non sto scherzando. Adesso non vorrei tornare dalla mia famiglia. Là non mi capirebbero mai, non potrebbero capire. Quello che a loro sembra importante, io so che è una sciocchezza. Quello che per me è importante, quel poco che mi è rimasto, loro non possono comprenderlo nè sentirlo. Porterei loro nuovo terrore, un altro da aggiungere ai mille terrori che già riempiono la loro vita. Nessuno deve vedere, e neanche sapere, quello che ho visto io».
Qui paradossalmente la prigione diventa un sinonimo di libertà. L’unico posto in cui “l’anima si riposa”, così come il corpo. Tutto si può dire senza paura, tutto si può mostrare.
E ancora i tentativi di fuga, i comitati tra i prigionieri per la sopravvivenza, il ritorno alla vita tra negozi e vestiti da indossare. La libertà, la schiavitù, la vita.
I racconti della Kolyma è…
Un libro sull’umanità che viene dimenticata e su quella che i detenuti riscoprono inaspettatamente.
Cominciava un periodo molto importante della mia vita, un periodo straordinariamente importante. Lo sentivo con tutto il mio essere. Avevo preso una strada che poteva portarmi alla salvezza. Non mi dovevo preparare a morire, ma a vivere. E non sapevo cosa fosse più difficile.
Ci sono tanti episodi che non ho riportato, altrettante persone che sono intervenute e che non ho citato. Vi ritroverete con la matita in mano per sottolineare pagine intere. Vi farà paura guardare l’abisso dell’indifferenza, prendere o non prendere le botte a un certo punto diventa ininfluente, rimarrete scioccati dalle condizioni disumane dei gulag, il freddo entrerà anche nelle vostre ossa. I dubbi costelleranno la vostra testa, il dolore si insinuerà nei cuori, perché è tutto dannatamente e ingiustamente vero.
I racconti della Kolyma va letto perché non si può dimenticare. Lo consiglio perché a volte bisogna ricordare agli uomini che sono esseri umani. E se gli esseri umani possono creare, progettare, prendere parte ad atrocità simili, è altrettanto vero che non possono dimenticare. La missione deve essere riportare, tramandare e riflettere. Non lo nascondo: è una lettura impegnativa ma ne vale la pena.
1 COMMENTO
Nanni Trivellone
2 anni faHo trovato la recensione de I Giorni della Kolima coinvolgente ed interessante. Non conoscevo affatto l’autore, ma la località si. Ho letto di Magadan , se non vado errato, su un libro di Colin Thubron, e anche se con gli “occhi” di oggi il luogo risultava spaventoso. Grazie per la recensione, vedrò di papparmi in leggerezza queste 600 pagine. Ciao, Nanni.