Il mio anno di riposo e oblio
La trama
L'esperimento di "ibernazione" narcotica di una giovane donna, aiutata e incoraggiata da una delle peggiori psichiatre della storia. New York, all'alba del nuovo millennio. La protagonista gode di molti privilegi, almeno in apparenza. È giovane, magra, carina, da poco laureata alla Columbia e vive, grazie a un'eredità, in un appartamento nell'Upper East Side di Manhattan. Ma c'è qualcosa che le manca, c'è un vuoto nella sua vita che non è semplicemente legato alla prematura perdita dei genitori o al modo in cui la tratta il fidanzato che lavora a Wall Street. Afflitta, decide di lasciare il lavoro in una galleria d'arte e di imbottirsi di farmaci per riposare il più possibile. Si convince che la soluzione sia dormire un anno di fila per non provare alcun sentimento e forse guarire. Tra flashback di film anni '80 - Mickey Rourke in "9 settimane e 1/2" e Whoopi Goldberg -, dialoghi surreali e spassosi, descrizioni di una New York patetica e scintillante, il libro ci spinge a chiederci se davvero si può sfuggire al dolore, mettendo a nudo il lato più oscuro e incomprensibile dell'umanità.
– Originale –
Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh (Feltrinelli Editore) è stata una scoperta bellissima. Comprato l’anno scorso (ma forse è passato ancora più tempo) con la promozione due libri a 9,90 euro, ha atteso pazientemente il suo turno.
Azzerare la stanchezza, dimenticare i problemi, sparire temporaneamente. Alzi la mano chi non ha mai pensato che dormire potesse essere una soluzione? Dormire dopo una brutta giornata, addormentarsi dopo un grande dolore… ma in Il mio anno di riposo e oblio la protagonista sceglie di dormire per tutto il tempo. Dormire diventa l’unico modo per esistere, per rendere sopportabile la vita. Ma definire Il mio anno di riposo e oblio un libro sulla depressione sarebbe riduttivo e ingiusto.
Non so indicare un evento specifico che mi aveva portato alla decisione di andare in letargo. All’inizio volevo solo un po’ di calmanti per cancellare pensieri e giudizi perché con la loro raffica continua facevo fatica a non odiare tutti e tutto. Pensavo che la vita sarebbe stata più tollerabile se il mio cervello fosse stato più lento nel condannare il mondo che mi circondava.
La protagonista senza nome è ricca, bella e… insopportabile. Non ho mai provato simpatia per lei, il suo nome non lo conosceremo mai, eppure qualcosa spinge il lettore a rimanere attaccato a questa viziata e sofferente ragazza.
Egoista e perennemente annoiata, ha perso entrambi i genitori. E questo non è il dolore più grande della sua vita. La sofferenza più grande è quella di essere stata ignorata, scavalcata, non accudita da quei genitori che le volevano bene a modo loro, in maniera distante e fredda. E proprio fredda, frettolosa e senza scampo è la scrittura dell’autrice che ci costringe a stare nella testa (disturbata della protagonista). Non ci sono filtri:
Non provavo né tristezza né nostalgia, solo disgusto per aver sprecato così tanto tempo in una fatica inutile quando avrei potuto dormire e non sentire niente.
La protagonista è concentrata su sé stessa e basta. Non tende una mano all’amica Reva quando ha bisogno, non ha contatti con il mondo esterno se si esclude un ex fidanzato viscido e distaccato. Sola e in pace solo quando dorme, la ragazza scivola in un inferno dolce e malinconico.
Ne Il mio anno di riposo e oblio c’è qualcosa di allucinato e ammaliante. La protagonista passa le sue giornate drogandosi e dormento, non ascolta la migliore amica, giudica tutti e come se non bastasse, frequenta una psicoterapeuta alquanto particolare che non solo continua a prescriverle pillole per l’insonnia ma dimentica continuamente i motivi per i quali la protagonista è diventata una paziente.
Grottesco e spietato Il mio anno di riposo e oblio conquista il lettore con umorismo, talvolta nero, malinconia e quello strano piacere che si prova nel guardare qualcuno che cade rovinosamente.
Le giornate che preferivo erano quelle che passavano senza che me ne accorgessi. Mi rendevo conto di non respirare, stravaccata sul divano, a fissare un vortice di polvere che uno spiffero creava sul parquet e per un secondo mi ricordavo di essere viva, poi svanivo di nuovo. Raggiungere quello stato richiedeva grandi dosi di Seroquel o litio mischiate a Xanax, è Ambien o trazodone, e non volevo esagerare con quelle prescrizioni. C’erano calcoli raffinati per somministrare sedativi. In genere l’obiettivo era arrivare a un punto in cui potevo scivolare alla deriva facilmente e tornare in me senza spaventarmi.
Il mio anno di riposo e oblio è…
Originale. Difficile spiegare i motivi che rendono questo libro così potente. Il finale? Certo, le Torri Gemelle e quella strana considerazione della protagonista sono ad effetto ma non è solo questo. Il filo del nonsense che pervade tutta l’opera è affascinante. Arte, depressione e rapporti familiari danno vita a una storia fuori dal comune eppure comunissima. Il desiderio portato all’eccesso di dimenticarsi di sé e sparire non è invenzione purtroppo. Certo, non tutti possono permettersi di non uscire di casa per un anno… ma questa è un’altra storia.
Una domanda però resta, si può sfuggire al dolore?
Un altro interrogativo, più che mai attuale visto che la pandemia non ha cambiato per tutti le cose, è: io dove sono finita? Persa nella marea di cose da fare e ne flusso della massa che detta regole confortanti e spietate:
I primi tempi, nei fine settimana facevo quello che fanno tutte le giovani donne newyorkesi: lavaggio del colon e del viso, colpi di luce, allenamento in una palestra costosissima seguito da ammollo nell’Hammam finché non ci vedevo più niente, e poi di sera uscivo con scarpe che mi tagliavano i piedi e mi facevano venire la sciatica.
Consigliato per chi è in cerca di una storia appassionante e dolorosa, stramba e al tempo stesso quotidiana.
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