Lessico famigliare
La trama
Lessico famigliare è il libro di Natalia Ginzburg che ha avuto maggiori e piú duraturi riflessi nella critica e nei lettori. La chiave di questo straordinario romanzo è delineata già nel titolo. Famigliare, perché racconta la la storia di una famiglia ebraica e antifascista, i Levi, a Torino tra gli anni Trenta e i Cinquanta del Novecento. E Lessico perché le strade della memoria passano attraverso il ricordo di frasi, modi di dire, espressioni gergali.
Scrive la Ginzburg: «Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c'incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire "Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna" o "De cosa spussa l'acido cloridrico", per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole».In appendice la Cronistoria di «Lessico famigliare» a cura di Domenico Scarpa e uno scritto di Cesare Garboli.
– Testamento –
Lessico famigliare di Natalia Ginzburg (Einaudi) è la storia di una famiglia, ma anche il ritratto dell’Italia del Novecento. Via il dente, via il dolore: non mi è piaciuto. Riponevo grandi aspettative su questo romanzo che è il secondo che leggo per la Sfida dello scaffale strabordante e sono rimasta abbastanza delusa. Ho trovato questo libro su una bancarella e la mia passione per i Supercoralli mi ha obbligato a portarlo a casa e così dopo anni di attesa ho deciso di inserirlo tra i libri che vorrei leggere entro ottobre 2022.
Per questa sfida come sapete ho scelto tanti libri che si potessero anche ascoltare su Storytel e la bravissima Margherita Buy mi ha conquistato mentre leggeva le parole di Natalia Ginzburg. Una magia l’inizio di questo romanzo che racconta nomignoli, abitudini e piccoli segreti della famiglia Levi.
La voce narrante, bambina prima e adulta poi, è quella di Natalia, l’ultima di cinque figli.
Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra.
Ed è esattamente questo che mi ha conquistato all’inizio. Mi sono ritrovata in quelle dinamiche: anche nella mia famiglia ci sono modi di dire, soprannomi ed espressioni comprensibili solo a noi. Questo mi ha fatto sorridere e mi ha riportato indietro con la memoria, a quando io ero bambina e insieme al nonno storpiavamo nomi o coniavamo modi di dire.
I genitori di Natalia sono molto diversi tra loro. Giuseppe è un professore di chimica, mentre la madre Lidia è un’artista. Meno inquadrata, meno scientifica, sarà capace di grandi gesti di altruismo.
Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte nella nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfidrico”, per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiri-babilonesi, testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e resuscitando nei punti piú diversi della terra, quando uno di noi dirà — egregio signor Lippman — e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: “Finitela con questa storia! L’ho sentita già tante di quelle volte!”.
In lessico famigliare si affacciano personaggi importantissimi tra cui il mio amatissimo Cesare Pavese. Dagli anni Trenta agli anni Cinquanta in una Torino che cambia, si incupisce… ma sono anche anni di fermento culturale. Ci sono liti tra fratelli, comparse di vicini di casa, drammi e scaramucce. Ginzburg narra tutto con estrema leggerezza e modernità ma nonostante questo dalla metà in poi ho fatto un enorme fatica ad andare avanti. Riuscivo a procedere soltanto grazie a Storytel.
Ci sono momenti di forte tensione: la prigionia del padre, la fuga dei fratelli ,l’incertezza per il futuro ma io ho percepito il racconto sempre con lo stesso ritmo e mi sono annoiata. Ho trascorso la lettura aspettandomi che succedesse qualcosa, ed effettivamente avvenimenti che accadono sono presenti, ma non era mai nulla che suscitasse in me una qualche emozione.
In questo romanzo che di fatto un’autobiografia, Ginzurbug consegna la memoria di una generazione di intellettuali e non solo, raccontando anche la genesi di Einaudi.
Lessico famigliare è…
Un libro testamento. Natalia racconta con naturalezza e leggiadria personaggi dal calibro Olivetti, Turati, Kuliscioff, Pavese, Carlo Levi… eppure non sono riuscita a sentirmi coinvolta, nemmeno un po’. Mi dispiace tantissimo e già immagino le critiche per le stelle che ho scelto di dare. Ma ormai mi conoscete, sono sempre sincera e no, Lessico famigliare non fa per me. Magari era il momento sbagliato o forse non era proprio il libro adatto a me. Natalia, questo non è un addio, leggerò altro perché voglio riprovare la magia iniziale che ho provato con Lessico.
Consigliato per chi è in cerca di un libro sui generis, per chi ama le storie familiari e per chi non si fa spaventare dai ritmi lenti, lentissimi della storia.
1 COMMENTO
Giulia
2 anni faHo appena finito di leggere Lessico famigliare e ho provato esattamente le sensazioni che descrivi. Oltreché lenta, trovo la storia incompiuta. Ho atteso fino alla fine una rivelazione, ma è sempre rimasto tutto “in superficie”; credo che ciò dipenda dal fatto che l’autrice, pur avendo vissuto tutto quello che racconta da protagonista, lo trasferisce al lettore con uno sguardo da spettatrice. Una cosa mi è rimasta particolarmente impressa, il tempo che passa, le cose cambiano, ma, in fondo, rimangono immutate . È certamente un’opera sui generis e che sono contenta di aver letto, ma che non sono riuscita ad apprezzare fino in fondo.