L’ora di Agathe
La trama
Si è ancora in tempo a mettere in discussione la propria vita a settant'anni? Ambientata a Parigi negli anni '40, L'ora di Agathe è la storia dolce e struggente di rinascita e cambiamento di uno psichiatra alla fine della sua carriera.
Un dottore sta facendo il conto alla rovescia per il suo pensionamento. Stanco del lavoro e desideroso di riposo, conduce un’esistenza indolente e abitudinaria: vive da solo nella sua casa d'infanzia e non ha né amici né parenti. Ogni giorno cammina fino al suo studio, dove passa la giornata ad ascoltare svogliatamente i suoi pazienti e a disegnare caricature di uccelli invece di prendere appunti. La sua vita sociale consiste in brevi conversazioni con la sua meticolosa segretaria Madame Surrugue, che da più di trent'anni si prende cura dello studio medico. Ma tutto cambia il giorno in cui una giovane donna tedesca afflitta da una grave depressione di nome Agathe Zimmermann chiede con insistenza di vederlo, anche se da tempo ha smesso di prendere nuovi pazienti. Nonostante provi a liberarsi di lei fin dalla prima sessione, il dottore si rende presto conto che dietro a un aspetto fragile c'è una donna forte e affascinante, in cui si rispecchia e che da subito stimola il suo interesse medico. Il dottore e Agathe intraprendono insieme un ciclo di terapia, un processo che riuscirà non solo ad aiutare Agathe ma anche a ispirare profondi cambiamenti nel medico stesso, costretto a mettere in discussione la solitudine nella quale si è ostinatamente barricato e a fare un bilancio della sua vita: ma è davvero troppo tardi per cambiare? Con L’ora di Agathe Anne Cathrine Bomann ci regala un romanzo elegante, delicato e pieno di grazia e humour sulla vecchiaia, l'amicizia, la paura della morte e il senso della vita. Un'educazione sentimentale senza tempo, un invito a credere che tutto è possibile, se lo vogliamo davvero.
-Lotta –
L’ora di Agathe di Anne Cathrine Bomann (Iperborea) è un libro che mi ha colpito subito per la copertina. Non sapevo se mi sarebbe piaciuto: immaginavo atmosfere cupe e aria pesante e in effetti stato così. Ma la copertina mi ha suggerito ben altro: l’arrivo della luce. Forse non vivace come speriamo, come meritiamo, ma è pur sempre un buon indizio.
Si può cambiare vita a settant’anni? A rispondere a questa domanda è Bomann, per lei evidentemente non ci sono dubbi ma per noi che ci avviciniamo all’anziano psicanalista… beh è un’altra storia.
Il nostro protagonista ha ottocento ore di colloqui davanti e poi sarà libero (da che cosa ancora non ci è chiaro). Meno di mille ore lo separano dalla pensione, eppure in questo conto alla rovescia non c’è gioia, non c’è speranza e nemmeno progettualità. Cosa avrebbe fatto il nostro dottore una volta sollevato dalle incombenze lavorative?
Se fossi andato in pensione a settantadue anni, avrei avuto davanti miei ultimi cinque mesi di lavoro. Il che corrispondeva ventidue settimane e voleva dire che, se tutti pazienti si fossero presentati, mi restavano esattamente ottocento incontri. Tenendo conto di cancellazione malattie, il numero era di certo destinato a scendere. Era piuttosto confortante, dopotutto.
La vita del nostro protagonista è come congelata. Vive solo in un appartamento ereditato dai genitori e ogni giorno compie gli stessi gesti in maniera meccanica. Gli piace la musica classica ma non abbastanza da poter parlare di passione, non rivolge la parola quasi mai a nessuno al di fuori dello studio, ha la stessa segretaria – Madame Surrugue – da decenni e ormai durante le ore di terapia si limita a seguire il filo stanco dei propri pensieri scarabocchiando sul quaderno. L’indifferenza rende prigioniero quest’uomo e mentre lo osserviamo durante le sue passeggiate abbiamo voglia di scuoterlo da quel torpore. La frustrazione invade anche me. Possibile che continui a vivere da spettatore desiderando soltanto una coperta e una tazza di té?
Negli anni avevo trattato un certo numero di pazienti affetti da manie. In genere erano soggetti instabile irrequieti e perfino leggermente psicotici. Una volta avevo parlato con un uomo che aveva dilapidato tutto il suo patrimonio in tre giornate frenetiche, pensano di avere il dono sovrumano di indovinare un cavallo vincente. Ma agate era diverso. Anche se su disagio era evidente, si presentava puntuale puntuale ogni seduta, e l’impressione che avevo di lei era che fosse soprattutto triste.
Ne L’ora di Agathe ci sono pochi avvenimenti ma tutti destinati a sconvolgere la vita del protagonista. L’arrivo di una nuova paziente scatenerà a catena una serie di eventi sui quali il dottore non potrà avere nessun controllo. Agathe Zimmermann vuole a tutti i costi diventare una sua paziente e non importa se davanti ci sono soltanto sei mesi: lei ha scelto il suo terapista.
La bella donna tedesca è affetta da una grave depressione, ha tentato il suicidio diverse volte e sul lettino di questo studio anonimo, pieno di volumi che un tempo il nostro protagonista ha amato e studiato, tenta di dare un senso alla propria vita.
La voce aveva ripreso il tono normale quando risposi: «Sono arrabbiata perché non ho combinato niente nella vita. Potevo diventare qualcuno, invece non sono nulla». Per la prima volta dall’inizio della terapia vidi l’umidità dei suoi occhi condensarsi una lacrima, che scese lungo la tempia e continuò a scorrere giù per il collo bianco. Dovetti fare uno sforzo per mantenere il filo la conversazione, per non mescolare tutte le immagini che avevo di lei.
«Deve scusarmi se sono tanto banale avrà di certo già sentito questi discorsi. Ma la verità è che io credevo di essere speciale».
Anche il marito di Madame Surrugue giocherà un ruolo fondamentale nella vita di quest’uomo. A volte abbiamo soltanto bisogno di un pretesto per far scattare una molla in grado di stravolgere il nostro modo di pensare. Di più non posso dire, forse ho già detto troppo ma il mistero si svolge tutto nella testa del nostro protagonista e nella nostra. Smarrirsi è terribile ma perdersi senza nemmeno essersene resi conto è terrificante.
L’ora di Agathe è…
Il racconto di una lotta interiore. Una storia in cui la paziente si confonde con il dottore in un gioco di specchi in cui i protagonisti diventiamo anche noi lettori. Quando ci siamo persi? A volte penso che guardare la vita dallo specchietto retrovisore non serva a niente, se non a farsi male. Eppure a volte è proprio quel passato, quei ricordi di sogni e speranze a tenderci una mano, a indicarci nuovamente una via che avevamo già battuto.
La vita è una… perché non viverla?
Consigliato per chi ha voglia di leggere una storia introspettiva, profonda e nonostante tutto un racconto di speranza. La scrittura di Bomann è scorrevole e coinvolgente. L’ho letto in un paio d’ore perché avevo necessità di capire come sarebbe andata a finire. E mentre Agathe cercava una formula per vivere… l’ho cercata anche io. Una formula che si perde, si dimentica e cambia con noi. L’importante è non smettere di cercarla.
2 COMMENTI
federica
6 anni faanche a me è piaciuto molto. Un libro breve ma molto profondo
Alessandra - La lettrice controcorrente
6 anni fa AUTHORAvrei preferito un po’ più di approfondimento ma nel complesso è stata una lettura piacevole!