
L’ora di greco

La trama
In una Seoul rovente e febbrile, una donna vestita di nero cerca di recuperare la parola che ha perso in seguito a una serie di traumi. Le era già successo una prima volta, da adolescente, e allora era stato l’insolito suono di una parola francese a scardinare il silenzio. Ora, di fronte al riaffiorare di quel mutismo, si aggrappa alla radicale estraneità del greco di Platone nella speranza di riappropriarsi della sua voce. Nell’aula semideserta di un’accademia privata, il suo silenzio incontra lo sguardo velato dell’insegnante di greco, che sta perdendo la vista e che, emigrato in Germania da ragazzo e tornato a Seoul da qualche anno, sembra occupare uno spazio liminale fra le due lingue. Tra di loro nasce un’intimità intessuta di penombra e di perdita, grazie alla quale la donna riuscirà forse a ritornare in contatto con il mondo. Scritto dopo «La vegetariana» e definito dal la stessa autrice «quasi un suo lieto fine», «L’ora di greco» si insinua − avvolto in un bozzolo di apparente semplicità − nella mente del lettore, come un «assurdo indimostrabile», una voce limpida e familiare che arriva da un altro pianeta.
– Rivoluzione –
L’ora di greco di Han Kang (Adelphi edizioni) l’ho comprato dopo aver amato Atti umani (LEGGI QUI la recensione). La vegetariana non mi aveva conquistato (LEGGI QUI la recensione) ed ero curiosa di leggere un terzo libro per chiarirmi l’idee su questa autrice da Nobel. Purtroppo non è stato proprio così, nel senso che alcune cose de L’ora di greco mi sono piaciute molto, altre, come il finale, mi hanno lasciata un po’ perplessa.
Sono due i protagonisti de L’ora di greco, due persone unite dall’incomunicabilità e da una lingua “morta”. Mi è piaciuta moltissimo l’idea che sta dietro a L’ora di Greco, due solitudini che si incontrano e smettono di essere tali. Le barriere della comunicazione che si infrangono dimostrando che quando c’è la volontà, il destino, l’amore e la sofferenza, tutto è possibile.
I due protagonisti sono quasi totalmente focalizzati su situazioni che non possono più cambiare. La protagonista, quella che ha scelto di non parlare più, continua a pensare alla perdita dell’affidamento del figlio. Con mente e cuore torna ai momenti felici e a quelli difficili trascorsi con il bambino. Le lacrime ricacciate indietro, l’incapacità di mangiare… ma anche le risate e la tenerezza. Il professore di greco invece è ancora fortemente legato a una storia vissuto da ragazzino. Lui sa che perderà la vista, convive con questa certezza da sempre e affronta la vita senza particolare entusiasmo. Spesso, spessissimo pensa alla ragazzina che amava e che ha perduto improvvisamente.
Le lezioni di greco sono l’unica cosa che sembra risvegliare dal torpore la donna, che segue con attenzione i movimenti del gesso sulla lavagna.
Il greco utilizzato da Platone assomiglia a un frutto maturo sul punto di cadere dal ramo. Nelle generazioni successive, conoscerà una rapida decadenza. Non solo la lingua, anche le città-stato andranno incontro al declino. In questo senso, potremmo dire che Platone aveva di fronte a sé il tramonto non solo della sua lingua, ma di tutto il suo mondo
Sarà proprio la lingua a unire questi due disperati (non c’è un altro modo per definirli, sono due disperazioni diverse che si incontrano).
Attraverso il greco antico è tutto possibile, parlare con chi non c’è più, stabilire una connessione con chi non parla…
Il linguaggio che l’aveva imprigionata e torturata come un vestito intessuto di migliaia di spilli era sparito.
L’assenza di qualcosa non è per forza un vuoto e Han Kang lo dimostra attraverso la sua protagonista.
Una lingua sfilacciata nel corso di migliaia di anni da un numero incalcolabile di parlanti e scriventi. Una lingua che lei stessa, parlando e scrivendo, aveva sfilacciato tutta la vita. Ogni volta che stava per pronunciare una frase, ne sentiva battere il cuore antico. Un cuore rattoppato, prosciugato, inespressivo. E più lo sentiva, più stringeva le parole tra le dita. Finché a un certo punto la presa si era allentata. I cocci spuntati erano caduti ai suoi piedi. Gli ingranaggi, che prima giravano incastrandosi alla perfezione, si erano fermati. Una parte di lei, logorata dalla lunga e dura resistenza, era venuta via come carne, come tofu tagliato con un cucchiaio.
L’ora di greco è…
Una rivoluzione. Solo all’apparenza la donna è un personaggio passivo. In realtà proprio attraverso il suo mutismo e la scelta della lingua greca attua una piccola grande rivoluzione.
Ognuno occupa un certo spazio fisico che corrisponde esattamente al volume del proprio corpo, ma la voce si propaga molto oltre.
Mi è piaciuta l’idea del finale… queste due persone che danno vita a un dialogo impossibile ma avrei voluto qualcosa di più. Han Kang lascia sempre un certo spazio al lettore e questa cosa, per chi come me ama altri tipi di scritture e storie è difficile da accettare. Dimostrami la tua tesi, dimmi la tua storia poi io posso decidere se essere d’accordo o no. Lei invece sceglie sempre di lasciare delle zone d’ombra da riempire, riscrivere e questa cosa mi mette sempre in difficoltà.
Consigliato per chi è in cerca di una storia originale, densa (sono poche pagine ma certamente impegnative) e per chi non ha paura di essere trascinato in dialoghi assurdi.
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