Tutto scorre...
La trama
Vasilij Grossman scrisse questo libro, che è il suo testamento, fra il 1955 e il 1963. Come nel grandioso Vita e destino, non cambiò molto dello stile scabro e aspro che lo aveva reso celebre fra gli scrittori del realismo socialista. Ma vi infuse l’inconfondibile tono della verità. Con lucidità e fermezza, prima di ogni altro parlò qui di argomenti intoccabili: la perenne tortura della vita nei campi, ma anche l’altra tortura, più sottile, di chi ne ritorna e riconosce la bassezza e il terrore negli occhi imbarazzati di parenti e conoscenti; lo sterminio sistematico dei kulaki; la delazione come fondamento della società; il vero ruolo di Lenin e del suo «spregio della libertà» nella costruzione del mondo sovietico.
– Libertà –
Tutto scorre… di Vasilij Gorssman (Adelphi) è un racconto dai tratti malinconici e apri allo stesso tempo. Uno di quei romanzi così pieni di realtà che fanno male a chi li legge. Innamorata di Grossman dopo aver letto La cagnetta e L’inferno di Treblinka ho deciso di recuperare tutto quello che ha scritto. Inutile dire che ho amato anche questo libro, anche se in realtà mi aspettavo una storia diversa.
In Tutto scorre… il protagonista e tutti i personaggi che ruotano intorno, hanno una storia fatta di brutale banalità. Ivan Grigor’evic torna dalla sua famiglia dopo aver trascorso trent’anni in Siberia. Tutto scorre e in un certo senso diventa paradosso. Perché forse in quella libertà il protagonista non si riconosce. Dopo aver vagabondato tra Mosca e Leningrado, smarrito e confuso, gli torneranno alla mente le parole di un vecchio compagno che come lui si trovava nel lager:
«Non lascerò il lager per nessun altro posto: qui sto al caldo, conosco la gente: dal pacco che riceve, chi mi darà un pezzo di zucchero, chi una focaccetta».
E si farà strada la convinzione che la sua vita è stata tutta un perenne viaggio con il rumore del convoglio nelle orecchie. Il ritorno di Ivan Grigor’evic avviene nel 1954, quando Stalin è morto. Ritrovare gli amici e i parenti però non è privo di dolore. Si sono tutti sistemati. Non sono più studenti universitari, hanno fatto carriera, hanno le loro famiglie e si sono impegnati per dimenticare Ivan Grigor’evic. Ed è qui, così, che si incontrano le due anime della Russia: i vecchi prigionieri vengono liberati che incontrano così quella parte di nazione che avrebbe dovuto – almeno sulla carta – essere libera.
Le pagine scorrono e gli incontri dell’ex prigioniero servono a delineare il cambiamento del Paese che si prepara a vivere una nuova vita. Le vicende personali si mescolano a quelle storiche. Ivan Grigor’evic riesce persino ad innamorarsi di Anna Sergeevna e per qualche paragrafo riusciamo a respirare una leggerezza che non ci aspettiamo. Tutto sembra pronto a rinascere: l’ex prigioniero e la Russia, che dopo cent’anni di influenze ricevute si prepara ad influenzare… ma il bagaglio dell’orrore è troppo vicino e pesante per essere dimenticato. Grossman con lo stesso modo repentino e imprevedibile ci costringe (come nei suoi reportage) a guardare in faccia la miseria umana.
Quella che si respirava nei lager abitati delle donne: Grossman riempie pagine di una bellezza straziante. La protagonista per un po’ diventa Masa, giovane donna accusata, insieme al marito, di aver tradito la patria e condannata a perdere la bimba di tre anni.
Maša stessa, del resto, non capiva perché il suo cuore si fosse improvvisamente riempito d’angoscia e disperazione; come se tutto ciò che era accaduto nella sua vita si fosse unito in un solo groppo: l’amore della mamma, l’abito di lana a quadretti che le stava così bene, Andrjuša, i bei versi, il grugno del giudice istruttore, l’aurora con l’improvviso scintillio del sole sul mare azzurro, a Kelasuri, vicino a Suchum, il chiacchiericcio di Jul’ka, Semisotov, le vecchie monache, gli sfrenati litigi delle donne-uomo, l’angoscia che le veniva dal fatto che la caposquadra, socchiudendo gli occhi, aveva preso a fissare lo sguardo su Maša, allo stesso modo con cui la guardava Semisotov. Perché mai, d’un tratto, al suono allegro di quella musica da ballo ella aveva cominciato a sentire cosi intensamente sulla pelle la sporcizia della camicia, e le scarpe pesanti come rozzi ferri da stiro, il puzzo di sudore della giubba; perché all’improvviso, fendendole il cuore come un rasoio, quella domanda: perché, perché era capitato a lei, Maša, perché proprio a lei quel freddo gelido, quella depravazione spirituale, quella progressiva accettazione del suo destino di ergastolana?
La speranza, che sempre le era gravata sul cuore con il suo vivo peso, era scomparsa, morta. Al gaio suono di quella musica da ballo Maša aveva perduto per sempre la speranza di rivedere Julja, smarrita tra gli orfanotrofi, gli istituti per l’infanzia abbandonata, le colonie, gli asili, nell’immensa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Al gaio suono di quella musica ballavano i ragazzi, nelle case dello studente e nei club studenteschi. E Maša capi che suo marito non si trovava in nesun posto, che era stato fucilato, e che lei non l’avrebbe rivisto mai più.
Ed ella rimase senza speranza, assolutamente sola… Mai avrebbe riveduto Julja, né oggi, né da vecchia con i capelli bianchi, mai. Dio, Dio, abbi misericordia di lei; Signore, abbine pietà, proteggila Tu.
Ma questo non è l’unico orrore che dobbiamo sopportare. Grossman ci fa entrare nelle case dell’Ucraina durante la carestia. Famiglie sterminate dalla fame, donne che con chissà quale forza riescono a prendere in braccio i figli per calmarli… corpi, voci, lamenti… impossibile non vedere e non sentire tutto, tutto. La rabbia delle madri attaccate alla vita, i pianti dei bambini che soffrono la fame.
Hai mai visto sui giornali i bambini nei lager tedeschi? Identici: teste pesanti come palle di cannone, colli sottili come quelli delle cicogne, nelle mani e nei piedi potevi vedere il movimento di ogni ossicino, sotto la pelle, come son congiunti quelli doppi…
E mentre il nostro ex prigioniero lascia la vita appena costruita per continuare a spostarsi in cerca della casa natia, ecco che nascono nuove riflessioni, sulla libertà, su Lenin, su Stalin. E ne esce un quadro sconfortante, senza appello.
Che razza di storia è quella dell’uomo, se la sua bontà non può crescere?
Tuttto scorre è…
Libertà. La libertà che forse la Russia non avrà mai per Grossman, la libertà negata ai prigionieri trattati peggio delle bestie, la libertà di esprimerte un pensiero, la libertà di non essere cancellato.
Tutto scorre… è un libro ricchissimo. Ferisce come può ferire solamente un libro carico di amarezza e sofferenza. Questo romanzo venne pubblicato postumo solamente nel 1970 a Francoforte e solamente nel 1989 in Unione sovietica.
Perchè leggerlo? Perché la libertà è il bene più grande che abbiamo.
Per grandiosi che siano i grattacieli e potenti cannoni, per il limitato che sia il potere dello Stato e possenti gli imperi, tutto ciò non è che fumo e nebbia, destinato a scomparire. Rimane, si sviluppa e vive soltanto la vera forza, che consiste in una sola cosa – nella libertà. Vivere significa essere un uomo libero. Non tutto ciò che è reale è razionale. Tutto ciò che è disumano è assurdo e inutile. Ivan Grigor’evic non si stupì che la parola maiuscola LIBERTÀ -fiorita sulle sue labbra quando, studente, era finito in Siberia – che quella parola vivesse, non fosse scomparsa dalla sua testa neanche adesso.
1 COMMENTO
Giuseppe
4 anni faciao Alessandra,
se non lo hai già fatto, ti consiglio di leggere il capolavoro di Vasilij Grossman “Vita e destino”
buona lettura.