Vite che non sono la mia
La trama
«Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, passo alcune ore davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura di qualsiasi altra cosa: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito. La vita mi ha reso testimone di queste due sciagure, l’una dopo l’altra, e mi ha assegnato il compito, o almeno io ho capito così, di raccontarle...». Il caso ha voluto infatti che Emmanuel Carrère fosse in vacanza nello Sri Lanka quando lo tsunami ha devastato le coste del Pacifico, e che si trovasse ad sostenere una coppia di connazionali nelle strazianti incombenze burocratiche per rimpatriare il corpo della figlia di quattro anni; e che, solo pochi mesi dopo, gli accadesse di seguire un’altra vicenda dolorosa, quella che avrebbe portato alla morte per cancro la sorella della sua compagna, che era stata «un grande giudice», strenuamente impegnato al fianco delle vittime del sovraindebitamento. C’è un solo modo per ricevere il dolore degli altri, ci dice Carrère: dargli voce, farlo diventare il proprio dolore. Ed è questo è il compito che si è assunto come romanziere, riuscendo a scrivere – senza mai cadere nell’enfasi, ma mettendo a fuoco con la precisione ossessiva di un reporter ogni minimo particolare – il suo libro più lacerante e temerario.
– Sofferenza –
Vite che non sono la mia di Emmauel Carrère (Adelphi) è un libro difficile da raccontare.
Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, passo alcune ore davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura al mondo: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito. La vita mi ha reso testimone di queste due sciagure, l’una dopo l’altra, e mi ha assegnato il compito, o almeno io ho capito così, di raccontarle.
Basterebbero una manciata di frasi per convincervi a leggere questo libro che mi ha fatto fare pace con lo scrittore francese.
Ho un rapporto particolare con Carrère, lo amo e lo odio ma nel frattempo non posso far altro che leggerlo.
Il suo stile è asciutto eppure riesce a emozionarmi. In Vite che non sono la mia però, Carrère non si limita a citare qualche episodio autobiografico ma svelando le vite degli altri, racconta la sua.
Vite che non sono la mia si apre con la famiglia di Carrère in vacanza nello Sri Lanka quando lo tsunami devasta le coste e le vite delle persone.
Emmanuel ed Helene si legano a una coppia del posto che ha perso la figlia Juliette: sono pagine strazianti, lo scrittore francese non ci risparmia nulla, nemmeno un dettaglio.
E qualche mese dopo la sorella della compagna di Emmanuel, Juliette, dovrà affrontare l’ennesima battaglia contro il cancro.
Carrère assorbe tutto il dolore della compagna e della famiglia di Juliette e si trova a ricostruire la vita del giudice e del suo collega, anche lui in passato malato di cancro.
Che vorresti dire? Che sono una brava persona perché ho avuto il cancro e mi hanno amputato una gamba? Parli sul serio?”
Dico no, no, è chiaro che non è così semplice, che si può avere il cancro e continuare a essere un mascalzone o un imbecille, ma in realtà sì, è proprio quello che dico. Quello che invece non dico è che secondo me il cancro lo ha guarito.
In Vite che non sono la mia si racconta il dolore della perdita, il senso di impotenza che ci affligge quando subiamo ( e proviamo) una sofferenza così, il sollievo che priviamo quando tocca a qualcuno e non a noi.
La sofferenza peggiore è quella che non possiamo condividere.
Carrère qui compie un viaggio impossibile da raccontare perché le esperienze si mescolano, gli episodi si moltiplicano e noi non possiamo far altro che lasciarci trasportare da queste storie che inevitabilmente parlano anche di noi.
La piccola vita tranquilla di Juliette non era stata né piccola né tranquilla, ma pienamente vissuta e scelta.
Carrère come solo la letteratura può fare, si carica il dolore sulle spalle, prova a masticarlo, a digerirlo e ci restituisce un libro che in alcuni punti ho odiato, in altri amato.
Vite che non sono la mia è…
Sofferenza. Lo so, non vi ho raccontato nulla di questo libro e non voglio farlo. L’ho divorato in un paio di giorni senza aver letto nemmeno una recensione e sono felice così. Vite che non sono la mia è stata un’esperienza impegnativa ma appagante.
I passaggi in cui Carrère guarda le figlie di Juliette sono malinconici e carichi di affetto. I siparietti con il giudice sono divertenti e appassionanti, il dolore di Helene mi ha ricordato il mio.
Vite che non sono la mia è un libro da maneggiare con cura e sicuramente bisogna aspettare il momento giusto per immergersi in un romanzo che racconta la realtà con la durezza e la sincerità che ormai siamo abituati a riconoscere in Carrère.
1 COMMENTO
luciano biella
2 anni faL’ho appena acquistato quindi invierò un mio commento non appena l’avrà letto. Un saluto.